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La Musa

Post n°62 pubblicato il 08 Novembre 2009 da max_6_66
 
Tag: frida
Foto di max_6_66

Io odio le zanzare. Non è una novità. Svariate volte mi sono soffermato su riflessioni dove contemplando la perfezione di un creato dove tutto ha un suo senso logico, mi trovavo in difficoltà relativamente al dover dare una spiegazione  sul significato e l’utilità dell’ esistenza di questi insopportabili insetti. E dire che con il resto della fauna esistente sul globo terrestre ho un rapporto buono o al peggio di convivenza pacifica: Ulisse, il gatto dei miei genitori, Gigi il cane che ride, mio vicino di casa, la famiglia del geco che popola i muri esterni di casa mia, i ragni coinquilini, i gatti del vicinato, sempre pronti a ridere di me quando combino qualche sciocchezza in giardino, il riccio che ha la tana sotto il pergolato delle rose. Toh, ci metto anche le mosche, sicuramente fastidiose, ma con le quali sono riuscito oramai ad impostare un “vivi e lascia vivere” che funziona. Ma oramai, queste considerazioni riguardo alle zanzare il tempo che trovano, perché le prime gelate di solito spostano il problema alla tarda primavera successiva.

Il rapporto all’interno del proprio io tra sensibilità ed egoismo è senza dubbio complesso. L’istinto, un riflesso condizionato che mentre cerca di proteggere la nostra fragilità da tutto quanto può turbarla in modo doloroso ci rende vigliacchi, ci abitua a girarsi dall’altra parte, a non voler vedere, a non voler sapere, a non volerci assolutamente pensare, per non soffrire. La sofferenza, il dolore, la malattia il sangue. Ho un rapporto con il mio sangue molto problematico, difficile, che mi porta tutte le volte che mi ferisco, anche lievemente, a preoccuparmi poco delle cure, fosse anche mettersi un cerottino, a chiudere gli occhi, a girarmi dall’altra parte, con l’ illusione che tanto guarisce da solo, basta aspettare un po’, basta pensare ad altro. E così tengo la mia realtà di essere vivente con al suo interni diversi litri di questa cosa, nell’incoscienza, con l’illusione che rimanga tutto sempre nascosto, preziosamente, all’interno di un involucro che serve per nasconderne la presenza e evitarne la fuoriuscita.

Questo per spiegare che quella del cambio di stagione e dell’arrivo delle gelate è per me una perfetta soluzione del problema zanzare. Una mattina mi sveglio e non ce ne sono più. Finita li. Per la mia coscienza potrebbero essere andate tutte in ferie ai Caraibi con un charter partito da Malpensa la sera prima.

A questo punto arriva il difetto del sistema, il granello di polvere che blocca l’ingranaggio, esattamente quindici giorni fa, esattamente in questa posizione, esattamente un pomeriggio come adesso, esattamente mentre stavo scrivendo. Alzando gli occhi dal monitor per un istante, la vedo saltellare sull’esterno del vetro della finestra davanti a me,  prima in modo frenetico, poi  stancamente. Ancora una serie di salti disperati, forse animata dal tepore interno alla stanza, che giungendo attraverso il vetro  faceva intravedere un’ultima speranza. Sarebbe stato un estremo tentativo prima di tornare a farlo sempre più affannosamente, forse per gli ultimi secondi della sua vita, attimi che si stavano consumando in quel momento davanti a me. Ma questo non è successo, perché ho aperto la finestra e l’ho fatta entrare.

Musicisti che scrivono canzoni in una fredda soffitta con una gatta che li osserva arrotolata su un tappeto, scrittori che fumano la pipa osservando il loro fedele labrador vicino al caminetto, pittori che dipingono ruggiti di tigri in gabbia. Io, da quindici giorni davanti alla tastiera del mio computer, che racconto  avvenimenti della mia vita che molti stranamente scambiano per favole, o per storie di fantasia, con una zanzara posata sulla spalliera della mia sedia che osserva silenziosa, a volte con lo sguardo sognante di chi si lascia trasportare da quello che racconto. Una presenza che mi fa compagnia, che rimane qui con me fino a che decido di andare a dormire. Ho deciso, la terrò qui con me. Se vorrà andarsene sarà libera di farlo in tarda primavera.

Solo allora, in una delle prime giornate di tepore, aprirò la finestra. Lei la guarderà un po’ timidamente, si girerà verso di me, e poi spiccherà il suo volo ronzante, oltrepassandola senza voltarsi indietro

E’ una musa a buon mercato, mi costa solo un po’ del mio sangue.

 
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