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il ragł

Post n°59 pubblicato il 03 Novembre 2009 da max_6_66
 
Foto di max_6_66

martedi 3 novembre, compleanno della mia mamma

Io adoro cucinare, ma soprattutto adoro cucinare per gli altri. Chi mi conosce bene sa che il sabato sera invito un sacco di amici a cena. Molte tra le persone che mi conoscono bene lo sanno ancora meglio, visto che sono stati miei ospiti. A detta di tutti i risultati sono buoni. A volte molto buoni. Ma non è sempre stato così, o meglio, che quello che cucino mi viene bene non è successo dalla prima volta. Tutto è infatti cambiato quando ho scoperto il segreto del ragù.

Appena sono andato a vivere da solo, circa dodici anni fa, cucinare è diventato ovviamente un’esigenza. La cosa, per i motivi appena detti, ha sempre rappresentato più un piacere che un obbligo. Quindi, mi è sembrato naturale il desiderio di mettere a disposizione la casa e questo mio interesse per riunire un po’ di amici al sabato sera. Ovviamente, siccome non volevo fare delle figuracce, mi ero messo a fare delle prove. Avevo scelto fin da subito di partire con il ragù per un motivo molto semplice. Il ragù caratterizza fortemente la persona che lo prepara e la sua casa. Se vai a mangiarlo in dieci case diverse, mangerai dieci ragù diversi. Magari tutti buonissimi e fatti con gli stessi ingredienti, ma diversi. E siccome ogni casa ha il suo ragù, anche la mia doveva avere il suo. Finché non avevo il mio ragù, la mia non era una Casa, erano quattro mura e un tetto. E gli amici li inviti a Casa.

Niente da fare, le prove erano state tutte disastrose. Non che fosse cattivo o immangiabile, solo che non era ragù. Eppure avevo chiesto anche consigli alla mia mamma. Giusto soffritto, giuste quantità, tempi di cottura misurati al secondo, niente da fare. Anche usando una bilancia di precisione, il risultato non era nemmeno vicino al mio ricordo di ciò che avevo mangiato in casa dei miei genitori per trent’anni. In realtà non volevo fare il ragù della mia mamma, volevo fare il mio. Partire da quello che faceva lei era solo una base per l’inizio, in modo che dopo qualche tentativo potessi arrivare ad una cosa differente, ma sempre ben definita e degna di essere chiamata con quel nome, con un gusto che le persone che sarebbero venute a mangiarlo a casa mia avrebbero riconosciuto negli anni, come io ero in grado di riconoscere quello di mia madre da bendato e in mezzo ad altri mille solo dall’odore. Niente da fare.

Mi ero allora affidato ai ricordi, agli odori di soffritto delle nonne, che si spandevano per casa alla domenica mattina presto. Le ricette raccontate tra loro o tramandate alle figlie e alle nuore durante i pranzi delle feste, ascoltati con la curiosità del bambino, che mentre aspetta di potersi sedere a tavola, gioca in giro per le cucine, cercando di dare fastidio per farsi notare. Per farsi dare un pezzetto di pane con sopra un po’ di ragù.

Tutto inutile, mi guardavo le mani. Ci deve essere un ingrediente segreto, una polverina che le mamme hanno nel palmo della mano, una polverina che lasciano segretamente cadere nel tegame mentre lo girano con il mestolo per non farlo attaccare. Mi guardavo le mani. Evidentemente, io quella polverina  non ce l’avevo.

Dopo circa tre settimane avevo deciso di tentare il tutto per tutto. Mi ero messo in trappola da solo invitando gli amici e annunciando la pastasciutta. Un tentativo estremo. Solo mettendomi con le spalle al muro potevo avere una speranza. La cosa non stava funzionando bene, e il sabato mattina di spesa stavo scegliendo distrattamente tutti gli ingredienti necessari. Giornate passate cercando la carne migliore, dai macellai più famosi, le verdure direttamente dal contadino dietro casa mia, il pomodoro passato da me, il concentrato della stessa marca vista usare in casa mia nelle ultime generazioni. E adesso pescavo direttamente da banchi anonimi della grande distribuzione. Una spesa triste, per me che ho sempre fatto iniziare da questo momento la mia passione per i fornelli. Mentre mi avvicinavo alle casse, davanti a me una donna con quattro bambini. erano sicuramente i suoi figli e facevano un casino bestiale Siccome quando era arrivato il suo turno  non riusciva  proprio a tenerli, l’avevo aiutata a mettere la sua spesa sul nastro trasportatore, riconoscendo parte dei miei stessi ingredienti. Stessa carne macinata, stessa passata di pomodori, sedano, carota, cipolla, non c’erano dubbi. Una mamma così, una supermamma, chissà che ragù buono che faceva.

Era arrivato il mio turno, e il sacchetto con la mia cipolla triste avanzava mestamente verso la mano della cassiera. Continuavo a guardare la mamma, mentre si allontanava con il carrello. La osservavo mentre si prendeva a turno le quattro pesti e se li abbracciava e  li baciava. Quella scena mi si era stampata in testa come una foto. Non solo non li sgridava, ma soprattutto quella sera o al massimo il giorno successivo gli avrebbe anche fatto mangiare una pastasciutta meravigliosa. Vai a capirle le mamme. La foto non mi usciva dalla testa, forse c’era qualcosa di molto importante che mi stava passando davanti agli occhi e che non vedevo.

Quando sono arrivato a casa, la foto era ancora davanti a  me, e nella mia testa ha cominciato a girare l’idea che tutto ciò dovesse avere un senso. La cipolla triste e il sacchetto che la conteneva mi osservavano da sopra la tavola. Cosa potevano avere in comune tutte le mamme del mondo, a parte (forse) la fantomatica polverina che gli cade dalle mani mentre girano il sugo con il mestolo.

Ero veramente sconsolato, soprattutto pensando alle persone che sarebbero venute la sera a cena. Non tanto perché non avrei fatto una bella figura, quanto perché non sarei riuscito a fare una cosa buona per tante persone  alle quali volevo un mare di bene.

Appena questo pensiero si è materializzato nella mia testa ho avuto come l’impressione che nella penombra della cucina il rosso della cipolla spiccasse particolarmente. Ma la cosa più sorprendente era che il sacchetto di nylon che l’avvolgeva non riusciva minimamente a fermarne il profumo. Anche il sedano che stava poco più avanti sembrava luccicasse. Dalla persiana socchiusa filtrava un filo di luce che ne illuminava le foglie, facendo risaltare le goccioline d’acqua che le ricoprivano. E’ a quel punto che ho iniziato a preparare il mio primo, vero, buonissimo ragù.

Perché l’ingrediente magico delle mamme esiste veramente, ma non sta nelle mani.

 
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