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Post n°174 pubblicato il 18 Aprile 2010 da max_6_66
 
Tag: anna
Foto di max_6_66

Il lunedì. Forse sarà la primavera, la stanchezza del cambio di stagione. O forse è proprio il concetto di “lunedì” che ha dentro di se qualcosa di subdolamente negativo. Lunedì in ufficio, appena arrivato, davanti alla macchinetta del caffè. Che poi io non lo bevo nemmeno il caffè. Se nel mondo ci sono mille vizi, io ne ho novecentonovantanove, perché quello del caffè proprio mi manca. Il mio unico caffè è quello al mattino, in pigiama d’inverno e in mutande d’estate, rincoglionito davanti alla microscopica moka, che osservo immobile con il bicchierino in mano, come se l’osservarla fosse indispensabile per la riuscita dell’operazione. Quindi, la mia passeggiata del lunedì mattina in ufficio verso la macchinetta del caffè, è soprattutto per compagnia, per fare quattro chiacchiere. E l‘argomento delle chiacchiere sono io, con la mia faccia triste e la mia bocca, simile all’aperta parentesi che si mette dopo i due punti e il trattino. Un collega di Perugia, con il quale ho una riunione di li a poco, tipo sportivo, sempre attivo e scattante. “Tutto dipende da come cominci al mattino, dalla prima cosa che fai, devi darti una scossa, essere subito attivo…..io, per esempio, inizio sempre con cinquanta flessioni appena alzato dal letto”. La parentesi rimane aperta. Angela, la mia segretaria. “E’ vero, la prima cosa che fai al mattino è quella che da il sapore a tutta la giornata. La prima cosa che vedo io è la faccina dei miei figli che si svegliano quando faccio entrare la luce nella loro cameretta. Vederli che si stirano e si stropicciano gli occhi come due gattini, mi stampa il sorriso per tutto il giorno”. E’ vero, hanno ragione entrambi. E siccome non ho figli, l’unica possibilità sono le cinquanta flessioni.

Scuola finita, giugno inoltrato, sono rimasto a cena a casa del mio compagno di banco. Abbiamo passato il pomeriggio impegnati in un’ impresa importantissima e abbiamo bisogno ancora di qualche ora. Così la madre del mio amico ha telefonato a casa mia dicendo che sarei rimasto a cena. Fa le patatine fritte più buone che abbia mai sentito, ma le mangiamo quasi in modo svogliato pensando al lavoro da fare. Il giorno precedente, mentre ascoltavamo una cassetta, mio fratello e il suo amico Daniele hanno avuto l’idea di un gioco fantastico. Ci saremmo inventati e costruiti degli strumenti musicali e avremmo fatto un concerto il sabato successivo. Il mio amico Sandro ha avuto una grande idea, quella di prendere alcuni fustini di detersivo vuoti e costruirsi una batteria. Allora il detersivo più famoso e pubblicizzato si comprava in questo formato. Un grande cilindro di cartone proprio simile ad un tamburo. Facendo un giro da tutti i vicini ne abbiamo raccolti in quantità tale da costruirci una batteria vera, come quelle che hanno i batteristi in televisione. Io sono rimasto talmente frustrato dalla meraviglia della sua idea che non sono riuscito a pensare ad uno strumento musicale da costruire per me, quindi per il momento mi sono offerto di aiutarlo. Una volta finito il lavoro, siccome vista l’ora non ci era stato permesso di provarlo, mi sto preparando per essere riaccompagnato a casa. Guardando sul tavolo di cucina, un’illuminazione, le due lattine di cocacola da noi svuotate mentre mangiavamo le patatine fritte. Chiedo alla madre dell’amico il permesso di prenderle. Una faccia in principio stupita, seguita da un sorriso. Mentre il padre del mio compagno di banco mi accompagna a casa, seduto sul sedile dell’auto stringo le due lattine e sorrido soddisfatto.

Ancora lunedì, ancora davanti alla macchina da caffè. Tutto identico al lunedì prima, con l’unica differenza che ho le braccia e le spalle indolenzite e doloranti. Scuoto il capo mentre guardo il collega di Perugia, poi guardo Angela. Rimaniamo tutti in silenzio, poi i due incrociano i loro sguardi e scoppiano a ridere. E pensare che di flessioni sono riuscito a farne solo dieci. Poi la giornata passa, e per fortuna è già l’ora di entrare in auto per andare verso casa.

Il giorno del concerto. Abbiamo trasportato la batteria nel garage di casa mia, aiutati da mio padre e seguiti dal suo sguardo preoccupato riguardo alla pennichella del sabato pomeriggio. Mio fratello e il suo amico Daniele arrivano poco dopo con le loro trovate da bambini che di li a quindici anni sarebbero stati ingegneri laureati con massimo dei voti, lode & acclamazione. Mio fratello ha fissato alcune bottiglie ad una tavola di legno. Le bottiglie sono riempite con quantità diverse di acqua, in modo che percuotendole con una bacchetta di metallo, ognuna produca una differente nota. Il suo amico Daniele si è costruito un flauto legando tra loro dei pezzi di canna svuotata. Hanno passato entrambi la serata precedente a centellinare le giuste quantità di liquido e accorciare i pezzi di canna in modo che producessero le note volute. Certo che anche la batteria fa una grande figura. Hanno permesso a noi più piccoli di partecipare al loro gioco e ne siamo stati degni. Però solo uno di noi la potrà suonare. “Nessun problema” aggiungo, “io ho un mio strumento” e mostro le mie due lattine, riempite in parte con dei sassolini. Faccio sentire il rumore che producono scuotendole. La cosa piace, mio fratello da il via, comincia la musica.

Ricordo che la musica è durò molto di più del tempo a disposizione di mio padre per il suo pisolino. Ci volle l’ora di cena per farci smettere. Quella sera, riuscii ad andare a dormire portandomi nel letto le mie lattine. Non ricordo di aver mai dormito così bene, anche se ricordo che fu difficile spiegare il mattino successivo a mia madre come ci erano finiti dei sassi dentro il letto. Poi, ascoltando provenire dalla mia camera quel rumore strano tutte le mattine appena mi alzavo, ebbe dei dubbi e alla fine mi scoprì. Non ero più un bambino, quell’anno a settembre sarei entrato in prima media. E anche in conservatorio.

Parcheggio davanti casa, ma invece di entrare mi dirigo verso il bar. Non c’è un motivo. Non devo comprare le sigarette, non devo giocare il superenalotto. Forse voglio solo fare due chiacchiere. Entro, e Giovanni, il barista, se ne accorge, togliendomi la responsabilità di iniziare il discorso. Solo che parlare di donne, calcio e motori non risveglia il mio interesse. Mi sorprendo a fissare il frigo a vetri dietro di lui e a quel punto capisco cosa sono andato a fare li. E gli chiedo una lattina di cocacola. Anzi, due.

Per troppi motivi, mi sento oggi di poter affermare che la vita è meravigliosa.

 
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