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Post n°267 pubblicato il 17 Gennaio 2011 da max_6_66
Foto di max_6_66

“Hai le scarpe slacciate…!” La voce di mia madre che giungeva dalla cucina. E io con un cenno del capo come per dire che si, me ne ero accorto, appena sistemato lo zainetto mi sarei chinato per allacciarle, o no, forse, adesso dovevo correre via per non perdere l’autobus. Non si deve arrivare tardi a scuola.

A scuola ci sono sempre stati dei gruppi ben distinti e divisi tra loro a seconda della posizione, del banco occupato. Gli occupanti dei primi banchi, quelli degli ultimi, più tutte le gradazioni intermedie, sempre calcolate nell’ottica della vicinanza o meno alla cattedra. A inizio anno o durante i cambi di aula, ognuno si dirigeva naturalmente verso la propria collocazione in tal senso, a seconda che fosse tra i più bravi o tra i ripetenti, che avesse un atteggiamento di maggiore o minore disponibilità verso chi stava seduto alla cattedra, di una differente ribellione nei confronti del mondo e delle sue regole che ti costringevano in quel momento della tua vita a stare li, in quella stanza. E di conseguenza, a seconda dell’importanza e del ruolo che ognuno rivendicava nel gruppo, che si manifestava nel posto più estremo, in un senso e nell’altro, o nelle varie posizioni intermedie. Io mi sono sempre trovato fuori, autoescluso volontariamente da questa logica per un motivo ben preciso. Il mio posto doveva essere soprattutto vicino alla finestra. La scuola è una necessità, l’istruzione è fondamentale, studiare serve per crescere e costruire il proprio futuro. Si, tutte cose che ero disposto ad accettare. A patto che mi permettessero di star seduto vicino a una finestra.

Anche nella camera dove ho dormito per anni insieme a mio fratello, il mio letto è sempre stato quello più vicino alla finestra. Non avrei potuto resistere durante le giornate a letto malato senza poter guardare nel modo più comodo possibile fuori, senza poter disporre di quella via di fuga. Perché una finestra è una via di fuga, non tanto per aprirla e permettere al tuo corpo di uscire, come un prigioniero che evade annodando le lenzuola. La finestra si attraversa con gli occhi. E’ sufficiente un breve sguardo per permettere ai tuoi pensieri di attraversare il vetro ed andare a chilometri e chilometri di distanza. E senza che nessuno possa in qualche modo impedirtelo. Possono esserci dei limiti a ciò che fisicamente vediamo, ma a quello che invece immaginiamo di vedere, tali limitazioni non esistono.

“Hai le scarpe slacciate” Finita la scuola ed iniziati i colloqui di lavoro non era cambiata la frase che accompagnava la mia uscita di casa. Si, certo, ci avrei pensato, però dovevo andare perché in questi casi la puntualità, anzi un certo piccolo anticipo, è fondamentale per la buona riuscita. Anche l’abbigliamento è molto importante, giacca, cravatta ben annodata, né troppo lunga né troppo corta, cercare di comportarsi in modo corretto, gentile ma allo stesso tempo deciso, come per affermare educazione e disponibilità a stare al proprio posto e nello stesso tempo sicurezza in sé e nelle proprie capacità. E così avanti negli anni, senza preoccuparmi troppo di essere anche li in prima o ultima fila. Perché anche in certi ambienti di lavoro le meccaniche sono molto simili a quelle che determinano il posto nei banchi a scuola. E anche nel lavoro mi sono sempre preoccupato di avere vicino a me una finestra, o il finestrino dell’auto, per il fatto che ho sempre scelto attività che mi permettessero di svolgere buona parte della mia attività fuori da spazi chiusi.

E proprio in una pausa del lavoro, cammino sul lungomare, durante una di quelle giornate che tutto ciò che esiste al mondo sembra che voglia attirare l’attenzione su di se con un odore proprio. Come se lanciare un segnale olfattivo fosse una dichiarazione di esistenza, l affermazione di una propria identità. L’aria, il mare, le aiuole che addirittura ti investono con un odore proprio e differente di tutte le cose che le compongono, la terra, i fiori, fino al cordolo, che per non essere da meno si è inventato l’odore di pietra e di cemento. Anche il marciapiede e la strada non rinunciano al loro odore di asfalto. E’ come una piccola festa che ti fa quasi sorridere, una buffa gara tra tutto ciò che compone appunto il mondo. E così mi distraggo, inciampo e rischio quasi di cadere. “Scusi, ma ha le scarpe con le stringhe slacciate” mi segnala gentilmente uno sconosciuto, essendosi accorto della causa della mia perdita di equilibrio e preoccupandosi di aiutarmi affinché il problema non si ripetesse.

Certo che ho le scarpe slacciate, le ho sempre  avute così fin da bambino. Perché se per esempio, in questo esatto momento, mi venisse improvvisamente una gran voglia di fare un tuffo nel mare per farmi una nuotata, o se volessi fare una corsa a piedi nudi sull’erba, non voglio avere un filo annodato intorno ai piedi da dover slacciare prima di poterlo fare. 

 
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