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Ho sognato che mi tenevi per mano

Post n°213 pubblicato il 24 Giugno 2010 da max_6_66
 
Tag: Cinzia
Foto di max_6_66

Non sono mancino, però mi rendo conto solo adesso che ho l’abitudine di accendere la sigaretta tenendo l’accendino nella mano sinistra. Mi sembra una cosa veramente assurda, ma tenendolo nella destra non mi viene il movimento, non riesco a far girare bene la rotellina facendo poi scivolare il pollice sulla linguetta che apre il gas con il tempo giusto. O non riesco  fare la scintilla…..o non apro il gas in tempo. Domenica scorsa sono caduto dalla bici. Durante una salita nel bel mezzo di un bosco si è rotta la catena e sono caduto. il sentiero era soffice di foglie e l’erba ai lati era alta, quindi le conseguenze della caduta sono state minime. Un graffio lungo il polpaccio destro, che a causa della rottura della catena e della conseguente pedalata a vuoto ha incontrato l’acciaio dei denti della moltiplica ormai nuda, e un taglio profondo durante la fase di riparazione, sempre a causa degli stessi denti, sul polpastrello del pollice sinistro. Un taglio molto profondo e doloroso. Il pollice sinistro, quello che uso per far girare la rotellina dell’accendino. E’ un bel problema.

“Alda, sapessi quante volte mi guardo allo specchio e penso che sto sbagliando tutto, che sono un vigliacco. Concedere tutto questo tempo ad un mondo che non esiste è uno spreco per me e un delitto verso tutto quanto nel mondo ci tende la mano chiedendoci aiuto. Qual’ è il confine tra sognare e fare lo struzzo, tra assecondare il vento che ti rapisce, che ti porta lontano e il fatto di usarlo come alibi per voltarsi dall’altra parte davanti a tutti i problemi che urlano e pretendono dalla nostra coscienza un intervento, una presa di posizione”. Ma non mi risponde, meglio così, prima che inizi a parlare dei suoi viaggi, di sette anni trascorsi in giro per il mondo. In realtà in quei sette anni il suo corpo è stato chiuso, al buio, in una casa di cura. No, non è sicuramente il suo corpo che ha viaggiato.

Mi piace stare da solo. Camminare, correre, andare in bicicletta, tutte cose che faccio rigorosamente in solitudine. Sono i momenti che uso per pensare. Niente di preciso, non sono momenti in cui per pensare intendo far lavorare il proprio cervello per compiere operazioni matematiche o risolvere problemi. E’ una abitudine che ho preso per il lavoro che faccio. Chilometri da solo, in macchina, giornate in viaggio, un cd di Cole Porter, sigarette, pacchetto morbido. Pensare per me vuol dire accendere il motore dell’astronave, mettere il pilota automatico e partire, osservando le galassie da un oblò.

Nella mia vita per due volte mi sono svegliato in ospedale, aprendo gli occhi in quelle stanze che sono bianche in ogni parte del mondo. E all’inizio non riesci a capire com’è che sei finito li. Ci vuole un po’ di tempo prima di iniziare a ricordare, prima che affiorino le immagini di un incidente, di una caduta. E in entrambi i casi non ho ricordi di questi momenti di incoscienza, come se stessi solo dormendo. Diverso è stato quando ho invece sognato di morire. Forse condizionato da racconti che si leggono un po’ ovunque, nel sogno li ho rivissuti, passando attraverso questa esperienza. Vedere il proprio corpo immobile, come se si fosse un’altra persona che lo osserva dall’alto, percorrere dei corridoi, camminare verso qualcosa. Solo che la stranezza della situazione vuole che non fossi solo in quel momento, ma insieme ad una persona, che aveva condiviso nello stesso momento, nello stesso posto, e per la stessa ragione il mio destino. “Eravamo insieme Alda, ed osservavamo insieme i nostri corpi che giacevano a terra. Sei stata tu, che mentre non riuscivo a liberarmi della mia immobilità, paralizzato dalla paura, dall’emozione della situazione, mi hai preso per mano sorridendo, e mi hai condotto lungo il corridoio guardando avanti”. Dopo il risveglio da questo sogno, mi è rimasta sempre la curiosità di capire cosa poteva aver generato questo film durante il sonno. Perché infondo i sogni ce li costruiamo da soli, dentro di noi. Come se ci fossero dei piccoli muratori che al nostro addormentarsi iniziano a costruirli, su disegno di un misterioso architetto che altri non è che noi stessi, il nostro doppio che vive “nel mondo di là”. Perfettamente identico a noi e che ha vissuto le spesse esperienze dentro il nostro stesso corpo, dimenticando però alcuni avvenimenti successi durante la nostra vita  e allo stesso tempo ricordandone altri che noi abbiamo rimosso.

“Alda, forse è il motivo per cui davanti a questo dubbio terribile ho pensato a te”. Sono in auto, con il mio cd di Cole Porter,  il mio pollice sinistro incerottato e una sigaretta spenta che mi pende dalle labbra. E lei, seduta sul sedile di fianco, sorridendo, mette la mano nella borsa per cercare l'accendino.

 
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