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La verità

Post n°285 pubblicato il 25 Febbraio 2011 da max_6_66
Foto di max_6_66

Una banana celeste, di un celeste talmente innaturale che mi disturbava nella sua stranezza. Non esistono cose commestibili di colore celeste, se non le caramelle gommose al lampone, ma anche quelle sono di un celeste diverso, più scuro, quasi sul violetto. E ad aumentare il mio senso di disagio c’era poi quella persona che mi agitava questa specie di frutto cromaticamente modificato davanti al naso e mi chiedeva insistentemente “Di che colore è? Su, mi dica, di che colore è questa banana?”. E tutto per colpa del mio dottore.

Un dolore intenso, improvviso, come un crampo, ma molto più forte. Io ho molta paura del dolore, ma in questo caso si era trattato di una situazione talmente inaspettata che non avevo fatto in tempo a rendermene conto. E così, semplicemente mentre camminavo, un movimento innaturale, distrazione del gemello e cinque centimetri di strappo muscolare ad un polpaccio. Un mese di terapie, un altro mese di riposo, e due ore di attesa in sala d’aspetto dello studio di Giovanni, il mio dottore appunto. “Adesso puoi fare un po’ di movimento, con calma, aumentando settimana dopo settimana, e a fine marzo sarà tutto a posto” Questa la sentenza, dopo una distratta occhiata alla foto che ritraeva il mio muscoletto, nudo, fatta con una macchina che ti fa le foto di quello che hai dentro, sotto la pelle. Effettivamente la foto non lasciava intravedere nessuna lesione, avevo dato un’occhiata mentre aspettavo il mio turno. “Devo quindi tornare nello studio del fisioterapista, oppure mi devo iscrivere in qualche palestra speciale, mi devo far seguire da qualcuno…” Le mie considerazioni avevano fatto nascere in lui lo sguardo di sempre, molto simile a quello con il quale si può guardare uno che ti parla in bulgaro (ovviamente se non sei bulgaro). “Camminare, devi camminare, solo questo. All’inizio qualche breve passeggiata serale e poi, se tutto procede bene, qualche camminata in collina”. Sempre così. Uno va dal dottore e si aspetta che il rimedio sia proporzionato alla sofferenza, sia nei costi economici che nell’importanza del nome, tipo una medicina stranissima che non hai mai sentito nominare, una tecnica di rilassamento orientale, un massaggio che fanno solo in Turchia. “E…che vuol dire….camminare?” Avevo detto con un tono di voce a metà tra la delusione e la speranza di un tocco finale strano ed esotico alla questione. “Camminare. Prima un passo, poi l’altro……e così via”.

Non ci sono speranze, oramai lo so. La maggior parte delle volte che vado da lui, la sua terapia consigliata è semplicemente “Acqua, bere molta acqua, soprattutto lontano dai pasti”. Quando poi gli telefono in preda a qualcuno dei miei tremendi raffreddori, dopo essersi assicurato che non ci sono altre complicazioni, mi raccomanda di stare in casa al calduccio e lontano dal telefono. Non perché il telefono faccia male al raffreddore, come dice sempre, ma perché fa male a quelli che sono nel corridoio fuori dal suo studio, e che lui non può far aspettare perché impegnato al telefono con uno che ha semplicemente il raffreddore. Non esistono medicine che curano il raffreddore, esistono solo alcune cose che te ne fanno sentire meno i sintomi. Il raffreddore passa da solo, appena passato il tempo che dura un raffreddore. Né un’ora di più, né un’ora di meno. E ovviamente, bisogna bere molta acqua. Come Picasso, che dopo anni trascorsi in accademia per imparare tutte le tecniche dei grandi pittori del passato, aveva poi dedicato il resto della vita per imparare a disegnare come i bambini, il mio dottore, finiti gli studi universitari, i tirocini e le specializzazioni, va prescrivendo bicchieri d’acqua come cura di tutti i mali.

“Su, non è difficile, mi dica, di che colore è questa banana”. Non è che uno si trova davanti ad una banana celeste e risponde così, di getto, senza cercare prima di capire tutto quanto può esserci dietro a tutto questo. Prima di tutto se si tratta di una rarissima specie di banane o semplicemente di una razza comune che qualcuno si è divertito a dipingere. Oppure di una banana di plastica, finta, quindi con la possibilità di essere di tutti i colori possibili che chi l’ha fabbricata può decidere. E poi, perché questa persona aveva estratto improvvisamente questa cosa stupefacentemente celeste dal cassetto chiedendomi così insistentemente di che colore fosse. Che cosa c’era dietro. E soprattutto davanti a quel bambino, seduto vicino a lui, in modo composto, come se fosse a scuola, al quale dovevo affidare la mia vita.

Il consiglio del mio artista di dottore l’avevo seguito con piacere. Mi piace camminare e non mi costa nessuna fatica. Appena inizio sprofondo nei miei pensieri e semmai rischio di fare troppi chilometri o di perdermi. Dopo una settimana di passeggiate e tre uscite in collina mi sentivo già pronto per qualcosa di impegnativo. Era arrivato il momento di realizzare un desiderio che covavo da tempo, percorrere il sentiero dell’Orrido di Botri. Si tratta di un camminamento lungo gole calcaree che dalla media Lucchesia conduce fino a dove nasce il Rio Pelago. Una serie di veri e propri Canyon alle pendici dell’Appennino Tosco-Emiliano. Un luogo vicino a casa e contemporaneamente lontano nel tempo. Mi aveva sempre attirato il fatto di pensare che a una mezz’oretta di auto da casa mia iniziava un sentiero che conduceva in un luogo dove esistono le Pinguicole, le piante carnivore che mangiano gli insetti, felci del tutto simili a quelle che popolavano la terra quattrocento milioni di anni fa, dove non è difficile trovare l’astore, le gheppie, le poiane e lo sparviere, e con un po’ di fortuna anche il lupo dell’Appennino o addirittura l’Aquila Reale. E proprio un’aquila disegnata su un grosso stemma stava davanti a me, sulla porta di ingresso del casottino dove mi ero recato per cercare una guida. Il sentiero è piuttosto pericoloso, con pareti rocciose a strapiombo anche superiori ai duecento metri, quindi non permettono di avventurarsi nell’Orrido da soli. La persona seduta alla scrivania davanti a me organizzava proprio queste escursioni e i turni degli accompagnatori.

“Non si tratta di una escursione troppo impegnativa, a patto che la si faccia con un minimo di allenamento e soprattutto con piacere e grande tranquillità. E non ci sono nemmeno pericoli se ci si comporta con attenzione. Mi spiego meglio, non si preoccupi, a parte la presenza di una guida della nostra associazione, bisogna rispettare alcune regole semplici ed elementari”. Non ero preoccupato, e poi avrei avuto una guida esperta. Questo pensavo quando la porta si era aperta ed era entrato un bambino di sei, massimo sette anni. “Ecco la sua guida, la persona che la condurrà per il giusto sentiero e la aiuterà a non dimenticarsi le regole semplici ed elementari a cui accennavo prima”.

“Lei si chiama forse Pablo o Giovanni?” questa era l’unica cosa che mi era venuta in mente, come se cercassi una ulteriore affinità tra la persona che mi stava davanti e altri due pazzi furiosi come il mio dottore e il mio pittore preferito. E a quel punto, il colpo che mi aveva steso al tappeto. Con il sorriso di chi ti vuol dimostrare qualcosa in modo paterno, il tipo aveva aperto un cassetto ed aveva tirato fuori la famosa banana celeste. Dopo una mezz’ora di tempesta, il mio cervello non era stato in grado di risolvere l’enigma e dare una risposta che potesse essere plausibile o logica. “Vede, il nostro modo di pensare è talmente inquinato dalla vita quotidiana e cittadina che non riusciamo a vedere le cose come sono veramente. Siamo talmente abituati ai manuali complicatissimi dei nostri aggeggi elettronici che la semplicità ci insospettisce, e quindi non la accettiamo. Siamo talmente circondati da falsità, che quando ci troviamo davanti alle cose come veramente sono, non crediamo nemmeno ai nostri occhi. Nel posto dove la nostra guida la porterà, le cose sono quello che si vede, non nascondono niente. Ma siccome lei non è in grado, potrebbe essere rischioso, quindi ha bisogno di una persona che la guidi, che la aiuti a riconoscere la pura e semplice verità, mentre lei rischierebbe di calpestarla o di sbatterci il naso mentre la cerca”. E qui era arrivato il momento della dimostrazione pratica, quando al bambino aveva ripetuto la stessa domanda sul colore della banana. “Celeste” era stata la prontissima risposta. Iniziavo a capire la questione. Però non ero ancora del tutto convinto di farmi guidare in una avventura di questo tipo da un bambino di nemmeno sette anni, volevo trovare qualche domanda da fargli, magari su cose tecniche, su come si sarebbe comportato in casi di pericolo. “E se mentre facciamo l’escursione inizia un temporale, che succede?” mi era venuto in mente di chiedere a quel faccino allegro. “Ci bagniamo” aveva sentenziato di rimando. Si, mi aveva convinto.

Sono tornato già altre volte in quel posto, così vicino a casa e lontano nel tempo, sempre con la mia guida della prima volta. Oramai siamo in confidenza e facciamo anche a metà della merenda. Non sono però ancora riuscito a vedere l’Aquila Reale, e tutte le volte gli ho rimproverato un po’ questa cosa, come se fosse una pecca del suo lavoro di guida, una piccola macchia in una attività svolta per il resto perfettamente. E a questo non mi aveva mai risposto, fino a che, questa mattina, mi ha detto che sto andando bene, e che se vado avanti così, presto potrò andare anche da solo. E quel giorno vedrò anche l’Aquila. Chissà se pure quella è celeste.

 
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