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Il virus (salutando il Giovane Holden, che ha smesso di correre nel campo di segale)

Post n°113 pubblicato il 28 Gennaio 2010 da max_6_66
 
Foto di max_6_66

Illusioni. Viviamo di illusioni, unico antidoto che sembriamo trovare alle frustrazioni del nostro tempo, al senso di inadeguatezza rispetto a coloro che vediamo in tivvù che oramai si è fatto spazio dentro di noi. Dentro tutti. Il sottoscritto ha coltivato per anni la convinzione di esserne un po’ immune, per poi scoprire di essere una comune vittima dell’ insoddisfazione perenne di quello che ha. E il motivo è quello, non ci piove. Il nostro cervello e il nostro cuore non possono essere vuoti, vergini, è un’illusione. Quando il cuore è vuoto, la prima persona che passa ne viene risucchiata. Quando dopo l’adolescenza fai “pulizia” di alcuni valori che consideri “datati”, il primo concetto che gira nell’aria si ancora nel tuo inconscio. E il concetto che ha inquinato più di altri l’aria negli ultimi trenta anni è uno: avere.

Un virus subdolo, creato apposta per crearti un desidero di possesso senza fine, che si autoalimenta continuamente facendoti desiderare continuamente una cosa e cancellandola automaticamente dopo pochi istanti che ne compri la proprietà, giusto in tempo per fare posto ad un nuovo desiderio. Il processo è umano e naturale, probabilmente è parte della molla che ci ha fatto progredire nei millenni. Il virus ha infatti il solo effetto di riempire immediatamente gli spazi vuoti con ciò che è in vendita. Se la mente di un uomo è piena di desiderio di pace e giustizia, il virus, pur presente, non ha posto a disposizione per collocare niente, e quell’uomo vivrà filando e tessendo a mano il necessario per vestirsi.

L’ho detto, pur comprando i miei vestiti esclusivamente durante i saldi di fine stagione, non sono immune dagli effetti del virus.

Si, insomma, tutto questo lo pensavo per darmi una giustificazione del fatto che mi volevo fare la mia giocata al superenalotto. Beh, si, tutti ne parlano, una cifra con tanti di quelli zeri che non so nemmeno pronunciarla. La tentazione di cedere e di affidare parte dei propri sogni a questa illusione era troppa.

Mi mancava solo un complice. Una e-mail di quelli del lunedì mattina era risultato subito perfetto. L’amica che si lamentava del fatto che era iniziata l’ennesima paranoica settimana lavorativa si prestava perfettamente allo scopo. Era bastato rispondere (come tutti i lunedì) che stare su una spiaggia tropicale sarebbe stato meglio. Da un luogo comune all’altro, mettendoci in mezzo anche il grigiore invernale del periodo, continuando nel gioco, i discorsi sul jackpot milionario erano arrivati a breve. La società era nata già dopo dieci minuti. Due euro di giocata il martedì seguente da parte mia e in caso di mancata vincita il giovedì successivo da parte sua.

Io sono una persona molto fortunata. Non sono un appassionato di gioco, ma ho una fortuna sfacciata. Arrivato al venerdì mattina senza cento e passa milioni di euro in tasca, avevo addirittura una delusione le cui motivazioni rasentavano l’idiozia assoluta. Ma come si può sperare seriamente in una cosa del genere e addirittura utilizzarla, per placare con l’illusione del successo i morsi del virus. Una cura assurda. Come se una persona che ha il raffreddore si recasse da un chirurgo per farsi asportare il naso.

La mia amica, incontrata nel pomeriggio per il caffè era raggiante. Aveva la stessa faccia che avrei avuto osservando sul mio foglietto che costava due euro la stessa serie di numeri estratti la sera prima. Alla mia espressione interrogativa rispondeva cambiando discorso, dicendomi che c’era un tramonto fantastico e che da tre giorni il tempo era veramente splendido. La mia faccia era invece cambiata di colore e il caffè mi si era strozzato in gola quando aveva aggiunto sorridente che avevamo vinto.

Avevamo vinto, impossibile, i numeri giocati erano sempre gli stessi, e ne erano usciti altri. Forse aveva giocato a mia insaputa dei numeri diversi, forse avevamo vinto davvero. E a giudicare dalla sua felicità dovevamo aver vinto molto. Molto, si, ma quanto…? Avevo cominciato a cercare di indovinare, ovviamente partendo da cifre non astronomiche, ma al suo replicare che avevamo vinto di più, la mia gola iniziava a prosciugarsi. Quando poi ho sparato la cifra grossa, il jackpot, lei mi ha guardato teneramente, ha scosso la testa come si fa davanti ad una persona come per dirgli che non ha capito un accidente, mi ha trascinato fuori dal bar e mi ha chiesto con quel jackpot quanti tramonti così o quante splendide e luminose giornate avrei potuto comprare.

Io non ci credo ancora che abbiamo vinto delle splendide giornate e un tramonto al superenalotto. Ora che ci penso, la mia fortuna non è mai stata al gioco, la mia fortuna è sempre stata quella di incontrare durante il cammino della mia vita, magari casualmente, persone che riescono a farmi capire come posso riempire nel modo migliore gli spazi vuoti nel mio cuore e nel mio cervello. Riempirli in modo che il virus abbia difficoltà a farci entrare le sue schifezze. 

E comunque, per amore della cronaca, il sabato successivo non abbiamo giocato. Domenica e lunedì pioveva. 

 
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