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Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere.

Post n°158 pubblicato il 03 Aprile 2010 da max_6_66
 
Tag: ale
Foto di max_6_66

Temporale pazzesco e improvviso, suona il campanello. Scendo velocemente al piano inferiore ed apro la porta. Guardo a terra e il marciapiede davanti all’ingresso è asciutto. “Ci siamo”…..e ridacchio, continuando a guardare per terra. Una selva di parolacce da parte dell’amico che mi sta davanti e che aspetta sotto la pioggia che lo faccia entrare, mi costringe a rialzare lo sguardo e farmi da parte tra mille scuse.

Non è colpa mia. La natura ci manda innumerevoli segnali, e io ne sono appassionato. L’ingresso di casa mia è rivolto a Nord, così come (purtroppo, perché sottoposta al freddo d’inverno e al caldo d’estate) la camera da letto. L’ingresso posteriore, quello dalla parte del giardino è rivolto a Sud, così come il bagno. Siccome sono patologicamente distratto, dimentico sempre le finestre aperte in bagno ed in camera quando vado al lavoro. Me ne ricordo quando sono in ufficio ed inizia a piovere copiosamente. Comunque, quando la sera torno a casa e ho la camera da letto allagata, l’estate è finita e l’autunno avanza, viceversa l’allagamento del bagno preannuncia la primavera e la bella stagione. Vallo a spiegare all’amico fradicio, che già mi prendeva per pazzo prima ancora che mi mettessi ad urlare festante che sicuramente il bagno era allagato. Eppure si tratta semplicemente di pioggia portata dal tramontano o maestrale nei mesi freddi e dallo scirocco o libeccio in quelli caldi.

Sabato pomeriggio e la penna non scrive. Perché io non scrivo con il PC, scrivo con la penna, in stampatello maiuscolo. Uno stampatello “da dottori”, ovvero quello che è già difficile per me capirci qualcosa quando rileggo. Il refill è terminato, sono quasi le sedici, non sarà difficile trovare una cartoleria aperta. In auto un cd di musica jazz. Ascolto sempre musica strumentale in auto, perché quando guido penso a ruota libera, a getto continuo, e la musica strumentale permette ai soli miei pensieri di fare da testo alla canzone. Piove, e le prime cartolerie chiuse mi fanno pensare che forse è già entrato in vigore l’orario estivo. Prendo la statale bolognese e guido verso l’Appennino. Quando ho bisogno di un refill non mi fermo davanti a niente. Nemmeno al fatto di dover cercare una cartoleria in una località turistica in cima a una montagna, dove il sabato pomeriggio sono sicuramente aperte. Continua a piovere.

Da dove viene l’acqua che piove. Me lo sono chiesto fin da bambino. Non mi sono mai accontentato di quelli che mi dicevano che “veniva dal cielo”. Un bambino ha bisogno di una risposta semplice e allo stesso tempo razionalmente accettabile. E’ possibile che ci sia un gigantesco serbatoio di ferro pieno d’acqua che galleggia nell’aria a mille e più di mille metri sulla nostra testa…? Suvvia, non è possibile. “Viene dalle nuvole”….? Non è possibile, le nuvole sono fumo, vapore, nebbia, come può una cosa così poco solida contenere e trattenere acqua al suo interno. Quando c’è nebbia, se butti una secchiata d’acqua verso l’alto, ti ricade in testa. Tutte le risposte giuste sono sempre semplici e razionalmente ineccepibili. Riconosci una vera risposta principalmente dal fatto che quando la trovi ti sembra quasi impossibile da quanto la cosa è evidente e semplice. Ed è proprio questo che da adulti ci inganna, ci porta lontano, verso soluzioni da scienziati. Complicate e lontane dalla verità.

Ho già percorso i primi trenta chilometri, superando i settecento metri sul livello del mare. Ancora niente refill. Non perdo la pazienza, so che manca ancora un po’.

Non è importante l’ evidenza che la pioggia sia senza dubbio collegata alle nuvole nere sopra la nostra testa. Perché fermarsi alla prima superficiale risposta. L’unica vera evidenza è che queste nuvole ti impediscono la vista di quello che ci potrebbe essere sopra. E per il mio modo di vedere le cose nessuno può escludere a priori nemmeno il famoso gigantesco serbatoio di ferro pieno d’acqua che galleggia e volteggia sulle nostre teste.

Milleduecento metri sul livello del mare superati da alcuni chilometri quando la pioggia diventa nebbia, poi un’ultima salita che mi fa sbucare improvvisamente nel mondo illuminato dal sole, come se la punta della mia auto spuntasse da un batuffolo di ovatta grigia. Davanti a me un muro enorme chiude una valle tra due crinali di montagna, imprigionando dietro di se una enorme massa d’acqua. Da questo muro escono dei giganteschi tubi, che scendono verso il basso fino a sparire nelle nuvole scure.

 
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