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Il vino rosso....e la luna

Post n°187 pubblicato il 30 Aprile 2010 da max_6_66
 
Foto di max_6_66

Ci siamo tutti, manca solo Giovanni, e questa è un’ottima scusa per parlare un po’ amichevolmente alle sue spalle. L’argomento è sempre lo stesso: vince sempre lui. Si tratta di poker tra amici del lunedì sera, una scusa per stare insieme, dove la partita occupa solo una parte della serata, estremamente minoritaria riguardo alla cena. Per me è la scusa per cucinare, per il fornaio l’occasione per usarci come consulenti per un nuovo tipo di focaccia o di pizza, un altro ha un negozio di pasta fresca, il quarto gli piace mangiare……poi c’è Giovanni. Giovanni, che fa l’infermiere, porta il vino. E vince sempre. Intendiamoci, si tratta di cifre molto piccole perché il nostro poker è giocato a centesimini, ma tra amici che passano queste serate insieme da anni, il fatto di vincere o perdere rappresenta un qualcosa che va oltre il denaro, come l’occasione per prendersi in giro e chiacchierarci sopra fino alla partitella successiva. Comunque Giovanni arriva, ha appena terminato il turno. Saluta tutti, prende il suo bicchiere di vino ed esce in giardino. “Accidenti che luna c’è stasera” Un disco enorme, leggermente arrossato, tipico della prima oscurità durante le serate che si inizia a sentire l’arrivo del caldo “con una luna così mi sento proprio di vincere” Giro di sguardi tra gli altri giocatori “A me la luna ha sempre portato bene, figuriamoci”. La cena trascorre piacevole come sempre, si sparecchia, si stende il panno verde, si compiono i consueti riti, si gioca. E Giovanni vince.

Mi sono preso un mese di tempo per studiare a fondo la questione, osservando, passando intere serate in giardino. Non ho in generale un approccio molto scientifico con le cose, preferisco basarmi sull’esperienza personale e diretta. Quando sono arrivato a capirci qualcosa ho fatto il consueto giro di telefonate e ho convocato il lunedì di poker.

Situazioni che si ripetono e che fanno parte del gioco, del divertimento. Chiacchiere inutili o utili non fa differenza, purché fatte davanti ad un bicchiere di vino. E il vino rosso è l’amicizia, la sincerità, bevuto senza tracannare, senza esagerare, perché deve essere quel sorso che asciuga il palato, lo rende pronto al prossimo boccone o alla prossima parola. E partono scherzi pesanti, prese in giro. La confidenza è tale che ci permette di superare molti limiti con le parole, come buona tradizione Toscana, senza correre il minimo rischio che l’amicizia ne soffra minimamente. Prendere in giro persone talmente vicine e simili a te che in pratica diventa prendere in giro se stessi, prendersi poco sul serio, esorcizzare quanto di triste o negativo c’è in noi e in quello che ci circonda, che in queste serate riusciamo così a lasciare dietro la porta di casa mia. Poco importa se ce lo rimetteremo sulle spalle come una giacca appena la serata finisce, ma almeno in quelle poche ore ne siamo liberi. E poi sono riuscito ad organizzare il lunedì di poker nell’ultima notte di luna calante.

Arriva Giovanni con il vino, stappa la bottiglia, riempie il suo bicchiere e si dirige verso la porta della cucina che porta in giardino. Ci riempiamo tutti il bicchiere e lo seguiamo con i nostri risolini furbetti. Guarda il bicchiere in controluce, studia il colore del suo contenuto voltandosi verso la porta di casa perché la notte è buia. “Penso proprio che questa notte la luna ti sarà di poco aiuto”. L’onore della frase ad effetto è mio, visto tutto l’impegno preparatorio. Un attimo di silenzio, impiegato da Giovanni per scrutare attentamente la volta celeste. Fino a quando con un sorriso beffardo punta il bicchiere verso una virgola appena luminosa. “Mi stupisco della tua superficialità” dice con voce impostata e teatrale, come la situazione richiede “il fatto che il segreto della mia fortuna non si veda, non vuol dire che non ci sia, guarda quello spicchio. La notte poi ci dirà se il fatto che pur presente ma poco illuminata dal sole ne attenuerà la valenza. Accetto la sfida”. Inutile aggiungere che Giovanni ha vinto.

Tutto questo accadeva cinque anni fa. Mi è tornato in mente domenica scorsa, quando in quattro dei cinque amici ci siamo trovati a casa mia per un pranzo. Giovanni non lo vediamo da un po’ di tempo. Niente di grave, anzi per un motivo tutto sommato bello, visto che ha trovato l’amore della sua vita e adesso condivide con lei una casetta e un bimbo dall’altra parte del mondo, continuando a fare l’infermiere e probabilmente a spennare nuovi compagni di carte a Melbourne, in Australia. Grazie a tutti i mezzi che la tecnologia ci mette a disposizione ci sentiamo spesso e a volte ci vediamo faccia a faccia in un riquadro nello schermo del computer. Le partite però, da quando  è partito, non si sono più fatte. E appunto domenica scorsa, parlando di lui, siamo stati assaliti da una strana curiosità. Chi avrebbe vinto se non ci fosse stato Giovanni ? le componenti del rito c’erano tutte, la mangiata l’avevamo già fatta, la bevuta anche, il modo di trovare la risposta a questa domanda era solo uno. Il fornaio stava già mischiando le carte.

Ed è stata una partita accesa, fino a metà pomeriggio, sguardi seri, giocate forti, soldi lanciati sul tavolo, carte scaraventate e qualche volta gettate per aria. Le fortune sono state alterne, ma mai evidenti. Alla fine del tempo di durata stabilito nessuno però sorrideva sicuro della vittoria e siamo andati alla conta dei centesimi. Incredibile ma vero, a tutti mancava una cifra non indifferente rispetto a quella di partenza. Abbiamo contato e ricontato, abbiamo fatto un unico mucchio, ma niente da fare. Il totale era sempre inferiore alla somma delle singole cifre con cui eravamo partiti. Allora abbiamo guardato per terra, casomai nella foga della battaglia fossero caduti dei soldi. Niente da fare. E quando siamo stati veramente sicuri del conteggio siamo rimasti immobili, ognuno seduto davanti al tavolo circolare con il panno verde a cercare negli occhi dell’altro una risposta a questa stranezza. Dopo dieci minuti così, siamo contemporaneamente scoppiati in un riso irrefrenabile. Ci siamo salutati, abbracciati, ed ognuno si è rimesso la sua giacca.

Perché quando è pomeriggio da noi, a Melbourne è notte fonda, e la luna brilla alta nel cielo.

 
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