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Post n°190 pubblicato il 07 Maggio 2010 da max_6_66
 
Tag: ale
Foto di max_6_66

Quindici anni senza leggere un libro. Senza nemmeno aprirlo, soppesarlo, o addirittura prenderlo giusto il tempo di spostarlo mentre si spolvera uno scaffale. Detta così, in questo momento, mi sembra una cosa assurda, una cosa che non può riguardare me. In quei quindici anni invece, non mi sono nemmeno posto il problema. Non si tratta di avere il pezzo di carta in mano, quanto di mettere in movimento tutti quei processi interni alla nostra testa che sono collegati a questa attività. E’ una cosa che si può realizzare benissimo anche andando al cinema, ascoltando musica, frequentando mostre, o semplicemente passeggiando in città, tutte cose che ho fatto sicuramente molte volte in quel preciso momento della mia vita. Ma non si muoveva niente. Ancora oggi mi chiedo perché e non ne trovo risposta. La persona che ero allora invece avrebbe semplicemente negato, anche con un certo stupore. Oggi a distanza di un po’ di tempo, mi vedo in quegli anni molto impegnato, brillante, sicuro, deciso, pieno di persone vicino a me, con tutto ciò che si pensa di poter desiderare e che in genere contraddistingue quelle che chiamiamo “le persone di successo”. Ma anche inattaccabile, con tutte le protezioni giuste verso ciò che mi avrebbe potuto procurare sofferenza. Avevo tutto quello che a detta di tutti bisogna avere per essere felici, ed ero al riparo da tutti i rischi possibili, come se la vita fosse una formula matematica dove la felicità è direttamente proporzionale alla quantità di ciò che hai e inversamente proporzionale alla somma di quanto puoi potenzialmente soffrire.

Difficile dire nella vita perché succedono certe cose o perché ci si ritrovi a seguire certe convinzioni. Principalmente perché si impara a vivere vivendo, non c’è possibilità di tornare indietro nel tempo per cercare di capire, ne tantomeno di vivere da capo un’altra vita con l’esperienza di quella precedente. Non sarà mai possibile fotografarne un momento, in modo da poterlo guardare, osservare, quindi capire. Il tempo di prendere la macchina fotografica e l’attimo è già passato, come l’acqua del fiume, senza possibilità che torni. Rimarrà quindi sempre un mistero come è potuto succedere. L’unica cosa che mi ricordo è come tutto questo, ad un certo punto, non è stato più.

E’ iniziato tutto mangiando l’insalata. No, è successo prima, quando avvicinandomi ai quarant’ anni ho sentito il bisogno di fare seriamente un po’ di attività fisica. Mi sono buttato sulle cose più semplici, tipo corsetta e giro in bici. Normale dopo una vita sedentaria svegliarsi il mattino dopo i primi tentativi in condizioni pessime e quasi incapaci di camminare. Poco normale invece continuare a sentire la scioltezza dei muscoli e delle giunture che andava sempre verso una maggiore rigidità.

Non c’è momento in cui si decida a questa età di fare un po’ di sport che non sia associato a buoni propositi dal punto di vista del comportamento alimentare. E qui viene l’insalata, o meglio la quantità industriale di insalate di cui ho iniziato a cibarmi, secondo il più classico degli schemi delle “diete fai da te”. Niente di strano, addirittura non soffrivo nemmeno gli attacchi di fame che colgono tutti gli improvvisati nutrizionisti, a patto che l’insalata fosse super condita, ovvero le foglie galleggiassero nell’olio. L’olio extra vergine toscano è una benedizione, lo adoro, e come tutti quelli prodotti dalle altre parti fa anche bene alla salute. Ma in quel modo era troppo, una quantità che di solito produce un effetto contrario, ti disgusta. E infatti il problema era proprio quello, anzi stava diventando una fissazione. Dopo l’insalata sono passato alla bruschetta, poi la pasta. Tutto quello che ingerivo doveva essere pieno d’olio.

Ho iniziato a rendermi conto che la cosa era grave quando ha superato l’ambito alimentare. Niente crema solare ma rigorosamente olio. Olio con il quale mi detergevo il corpo ad ogni esposizione minima al sole. Era più forte di me, mi dava piacere e sollievo. E quando la cosa dell’olio solare è continuata con il sopraggiungere dell’inverno ho capito che non potevo andare avanti in quel modo.Nemmeno l’attività sportiva nel frattempo mi dava le soddisfazioni sperate. Dopo alcuni mesi avevo una resistenza maggiore, potevo affrontare qualche salita impegnativa con la mountain bike, ma degli effetti che immaginavo sul benessere generale della mia persona nemmeno l’ombra. La rigidità del mio corpo stava ancora aumentando e le giunture di braccia e gambe erano stranamente faticose, meccaniche.

Quando sembrava che tutto mi conducesse verso il peggio, come inghiottito da un vortice, il caso ha fatto la sua parte, sotto forma di un libro caduto chissà quando da uno scaffale che giaceva per terra aperto su una pagina qualsiasi. Ecco, quello era in quei giorni l’unica possibilità che prendessi tra le mani un libro: raccoglierlo per rimetterlo a posto. Impossibile non vedere quello che c’era stampato. Poche parole, che prendevano tutta una pagina. “Ho commesso il peggiore dei peccati che possa commettere un uomo, non sono stato felice”.

Il primo impulso sarebbe stato quello di chiuderlo e rimetterlo al suo posto, ma non ci riuscivo. Anche spostando lo sguardo, la mente continuava a leggerle, pesanti come macigni. Anche il mio braccio era pesante, come se la rigidità del mio corpo fosse giunta al punto estremo di arrivo. E’ a quel punto che voltandomi verso uno specchio vicino ho visto l’imbuto di latta che avevo sulla testa e ho capito il perché del mio continuo bisogno di olio.

Leggo ancora Borges con affetto, e molte altre cose. Leggo sempre seduto sul divano, quel divano che ho messo nella stanza della libreria da cui i libri cadono da soli per farsi leggere, in una posizione che mi consenta di alzare facilmente lo sguardo verso lo specchio dell’ingresso. La mia pelle è ancora un po’ lucida e il colorito non è ancora perfettamente roseo, però sento che le cose vanno meglio.

 
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