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E cerco ancora sogni, in cuori che sanno ancora sognare.......

Post n°152 pubblicato il 27 Marzo 2010 da max_6_66
 
Tag: Gaby
Foto di max_6_66

Perché nei supermercati le caramelle colorate sono alla cassa….? Semplice, è perché i bambini che accompagnano malvolentieri la madre o entrambi i genitori durante la spesa abbiano tutto il tempo, mentre i genitori aspettano il proprio turno in fila, di vederle, desiderarle, chiederle urlando come risarcimento di un noioso sabato mattina. Non è il gusto dolce. Se in quelle scatole ci fossero sassi o pezzi di legno sarebbe lo stesso. Un bambino è naturalmente così: quello che vede lo vuole e quello che tocca lo rompe. Non è una visione negativa dell’universo infantile. Anzi, personalmente lo considero un diritto. Il diritto di fare casino, piangere, urlare, fare le ripicche per un leccalecca, annoiarsi quando si fanno le cose da adulti insieme ai genitori, essere dirompenti e distruttivi verso tutte le cose che non si devono toccare. Sto pensando a questo nel momento in cui mi ritorna in mente una cosa speciale. Una cosa che ho sempre desiderato da bambino ma che non ho mai avuto.

Penso di aver trascorso un’infanzia molto felice. Forse perché allora non c’erano molte cose che la televisione ti obbligava a desiderare. Per tutto il resto, dalla carrozzina alla prima bicicletta, passando per i vestiti ed i libri di scuola, ho sempre ereditato tutto da un fratello maggiore di tre anni. E oltre alla vita che viene dall’amore, ho avuto il latte di mia madre e il pane di mio padre fino a quando non sono stato in grado di procurarmelo da solo. Ero felice, assolutamente felice. Sfido chiunque a dire che per essere felice mi mancava un leccalecca, una scatola di caramelle colorate o un gioco reclamizzato alla televisione. Però, ho desiderato molte cose belle e colorate, magari senza nemmeno sapere cosa fossero, e molte volte mia madre mi ha tirato via per un braccio. Tutto rientra nella norma, se non fosse per quell’unico oggetto che ancora considero un mio piccolo sogno. Anzi, che identifico con il concetto stesso di sogno.

Quanti volti conosciamo. A volte provo a fare un conto. Alcune centinaia all’anno per lavoro. Ma anche, tornando al principio, cento bambini all’asilo, trenta compagni a scuola, dieci ragazze ogni domenica pomeriggio in discoteca, e poi le superiori, la discoteca di sabato sera, le vacanze a Rimini con gli amici, e non siamo ancora alla maggiore età. E poi le persone che hai visto per anni, sul tuo stesso autobus, alla stessa ora, quelle che quando le rivedi ti sembra di conoscerle ma non ricordi.

Non ti ho conosciuto su un autobus, non siamo andati  scuola insieme. Ricordo solo vagamente che quando ci siamo incontrati nevicava. Vicino a noi una casetta, ma poteva essere  la torre di Pisa, o anche la Tour Eiffel. Neve a fiocchi grandi, che ci circondava per pochi minuti prima di cadere. Una volta terminata la nevicata, una breve scossa, come se tutto si capovolgesse per un istante, e i fiocchi cadevano di nuovo. Un piccolo mondo chiuso dove le nostre mani hanno incontrato il volto dell’altro.

Da millenni non è cambiato niente e così sarà ancora nei secoli. Una madre che strattona il figlio per distrarre la piccola mano da un oggetto che ha visto, che vuole. Un oggetto inutile, buono solo a giustificare dieci minuti di bizze e broncetti, dimenticato appena dopo. E intanto continueranno, a riempire, di caramelle, cioccolate cose dolci e colorate, gli espositori vicino alle casse dei supermercati, dei negozi, dei bar. E continueranno ad allungarsi, piccole dita rapaci, di mani che non ci arrivano, appena sfiorando piccole cose inutili, capaci nella fantasia di un bambino di trasformarsi in cose preziose, in piccoli sogni. Io ancora ci penso, a quella piccola palla di vetro, che la scuotevi e nevicava su una casetta. Ancora oggi, in sogno, in quella casetta apro la porta ed entro.

Accendo il camino. E seduto davanti al tavolo ti aspetto.

 
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