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Visioni poetiche-profetiche del secolo scorso

Post n°336 pubblicato il 25 Gennaio 2013 da max_6_66

 
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Criceti sulla ruota

Post n°335 pubblicato il 24 Gennaio 2013 da max_6_66
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Devo trovarlo quel fusibile maledetto, dovessi smontare tutto quanto, fare anche un danno, ma lo troverò. E poi lo toglierò.

Da quando abbiamo il digitale terrestre devo in parte ricredermi sulla televisione. Ho sempre sostenuto che quando si accende la televisione si deve farlo sapendo già cosa si vuole vedere, piuttosto che secondo la logica comune di accenderla per vizio, abitudine, noia, facendo poi zapping continuo sul telecomando alla ricerca di qualcosa che spesso è il meno peggio. Con i nuovi canali tematici abbiamo però a disposizione una soluzione nuova, quella comunque di accenderla senza sapere esattamente cosa guardare, ma andando comunque a cercare qualcosa di preciso. Per le persone che quindi come me amano i documentari il digitale offre molte possibilità. Mi piacciono quelli di argomento storico, specie se hanno molti spezzoni di filmati in bianco e nero, ma mi incuriosiscono molto anche quelli classici, sugli animali. E' il bambino dentro ognuno di noi che adora questo tipo di cose, ed è un bene quindi che ci sia questa possibilità di tirarlo fuori dal nostro, purtroppo, profondo. C'è un documentario sui criceti. Sono carini i criceti.

Da 2 mesi ho l'auto nuova. Certo, quante novità ci sono in questo settore a distanza di pochi anni. Non voglio certo andare a quando per aprire il finestrino c'era la manovella, ma basta poco perché alcuni modelli abbiano dotazioni veramente curiose e interessanti. Quelle che riguardano poi la sicurezza rappresentano anche una necessità per chi come me con l'auto ci lavora. A parte il suono che ti distrugge i timpani quando non ti allacci le cinture, che è presente su tutte le auto da un po', e che oramai funziona da generatore di riflesso condizionato abbastanza efficacemente (ci sediamo, sentiamo il suono bestiale, ci allacciamo automaticamente le cinture), questa mia macchinina ha un sistema geniale che si chiama "tazzina di caffè". In pratica, se mi avvicino troppo al mezzo che mi precede, si accende un triangolo rosso sul cruscotto. Se ti avvicini ancora troppo, suona un cicalino. Se durante un viaggio ti avvicini un po' troppo spesso e freni bruscamente, se guidi in modo incostante e se stai viaggiando da un po' di chilometri, appare una scritta che ti invita a fermarti un attimo a prendere un caffè perché probabilmente sei troppo stanco. Io non ce l'ho mai avuta questa cosa qua, e devo dire che non ho mai avuto comunque problemi perché non appartengo a quegli automobilisti che mentre sei in autostrada vengono a vederti cosa hai nel bagagliaio. E quando sono stanco il caffè mi fermo a prenderlo anche se non me l'ha ordinato l'automobile. Però mi sembra una cosa utile, intelligente.

I criceti sono carini, ma sono anche animalini intelligenti, questo dice il tipo alla televisione. Fanno vedere tutta una serie di esperimenti dove viene dimostrato che è possibile, in un certo modo, addestrarli a capire certi comandi e a compiere certe azioni. Ad esempio, iniziano a dargli da mangiare tutte le volte che fanno i giri nella ruota, la famosa ruota del criceto, in pratica un meccanismo dalla funzione simile a quello che usano alcuni quando vogliono fare sport e si rinchiudono in palestra per correre: il tapirulant. Il criceto in gabbia ce lo mettono, e la ruota è l'unica possibilità che ha di farsi una corsetta. Dopo un po' sembra che capisca il sistema e impari che tutte le volte che vuole mangiare deve farsi un giretto. A quel punto iniziano ad accendere un tipo di lucetta tutte le volte che gli danno da mangiare e dopo un po'  imparano che a quel segnale corrisponde l'arrivo del cibo. Dopo circa un paio di mesi, impara talmente, con la sua intelligenza da animalino, questo flusso che lo conduce alla sua soddisfazione, che mettendoli tutta una serie di fili da tutte le parti e osservando il suo comportamento, si capisce che quando ha fatto la corsetta e si è accesa la luce, lui è già contento. Ho spento subito la televisione perché a quel punto mi è venuto il dubbio che si volessero accanire a non dargli da mangiare per dimostrare che comunque il povero criceto al termine di questo esperimento e raggiunto questo appagamento artificiale, perde pure l'appetito come se si fosse abbuffato.

E' proprio bellina la mia macchina nuova, e dopo due mesi si imparano anche tutti questi comandi nuovi. Suona il distruggi timpani e ti metti la cintura, si accende il triangolino rosso e il piede automaticamente va sul freno, si accende il cicalino e freni più di scatto, appare la scritta che sei stanco e ti fermi a prendere il caffè. E arrivi a casa in sicurezza, vai in palestra a correre sul tapirulant, poi torni a casa, ceni, accendi la televisione, vai a letto, suona la sveglia e ti alzi, accendi la luce di cucina e ti prepari il caffè, spengi la luce, esci di casa, entri in macchina, suona il distruggi timpani e ti metti la cintura.......

Ho letto le istruzioni della macchina nuova. Tutti questi dispositivi non si possono disinserire. Sono stati astuti, ma io so che trovando il fusibile giusto e togliendolo, si interrompe il collegamento elettrico e quelle diavolerie non funzionano. Ce n'è uno per ogni cosa, basta trovare quello giusto. Ci vorrà un po' di tempo, ma anche per questa volta non ci riusciranno.

E da domani smetto di andare in palestra.

 

 

 
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Parcondicio.....

Post n°333 pubblicato il 09 Gennaio 2013 da max_6_66

 
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Le tre parti del racconto in un unico post + piccolo bonus finale

Post n°332 pubblicato il 08 Gennaio 2013 da max_6_66
Foto di max_6_66

 

1- Arrivo

Su questi voli non c'è il posto assegnato, ottenere quello vicino al finestrino è stata una lotta. Una lotta a fin di bene anche per chi si è trovato vicino a me, perché di solito appena mi siedo mi addormento profondamente, quindi non dovrà faticosamente scavalcarmi per andare in bagno o solo per sgranchirsi le gambe. E' molto comodo dormire in questo modo, perché passare ore ed ore in aereo seduti è noioso, però rappresenta allo stesso tempo una sensazione strana, come di nonviaggio: mi addormento e mi risveglio a destinazione, come se tutto avvenisse solo con il pensiero. Quando poi arrivo ho sempre il dubbio di non essermi ancora svegliato, di vivere una realtà che esiste solo dentro di me, che svanirà non appena mi sveglierò veramente, seduto dentro l'aereo vuoto, ultimo passeggero ad abbandonare il velivolo. Sveglio o ancora nel mio sogno, essere vicino al finestrino mi serve perché posso avere una prima visione aerea del posto dove arrivo, che essendo questa volta un'isola ha anche il senso di capirne la forma e le dimensioni, i colori.

No, ora che ci penso i colori non li noto mai. Le isole dove sono andato fino ad ora erano di solito un po' tutte uguali, poche strade di una certa dimensione, tale che si possano distinguere anche dall'alto, piccoli agglomerati urbani, molto verde. Questa volta è però tutto nero, quindi ci faccio caso.

E quindi, arrivato a terra e sbrigate le formalità di sbarco, effettivamente la mia fretta è di vedere da vicino tutto quel nero. Dall'altezza si riesce a distinguere bene, poteva essere anche il fogliame degli alberi di un colore piuttosto scuro. Il parcheggio fuori dall'aeroporto è tutta una distesa di asfalto, non aiuta a capire. Salgo sull'auto e mi preparo, ben attaccato anche qui al finestrino. Sbarra di uscita dal parcheggio, ci siamo.

E' il terreno, ma non la terra. Sono le pietre, i sassi, un acciottolame nero che ricopre tutto lo spazio non occupato dalle strade o dalle opere dell'uomo. La prima cosa che penso è che quando questo posto è stato creato, a quello lassù deve essere rimasto un po' troppo nel forno, forse in quel momento gli era arrivata una telefonata, insomma, gli è uscito bruciato. Qualche pianta di fico d'india fa risaltare nel contrasto questa roccia scura. Un deserto collinare nero, arido, solcato dalla strada che stiamo percorrendo, come la prima passata di rasoio sulla testa di un uomo con i capelli neri che ha deciso di radersi a zero.  La cosa mi interessa, mi stupisco che la tonalità del paesaggio non evochi in realtà niente di lugubre, ma che anzi dia un senso di pace. Continuo a osservare, a cercare di recepire senza pensare, con il naso incollato al finestrino. Fino a quando dal nero si arriva ai colori.

Improvvisamente il rosso di un semaforo, poi il verde, case, automobili, i vestiti della gente , insegne luminose già accese nel tardo pomeriggio. Ristoranti in riva al mare, bar, gelati giganteschi illuminati al neon, musica. Vengo percorso dal pensiero che, adesso si, siamo arrivati, possiamo scendere dall'auto e passeggiare, per far sentire anche ai piedi, esplorare attraverso di loro come suona questo terreno. Suona strano. Poi capisco. I mattoncini che compongono la passeggiata sul lungomare non sono in pietra come sembrava a prima vista, ma di una plastica che ne imita esattamente l'aspetto e il colore, ma ovviamente non la consistenza. I miei piedi esperti li hanno immediatamente smascherati. Non c'è niente di male, infondo si tratta di un posto dove la gente viene a divertirsi, a passare le vacanze, un po' di cose colorate e finte sono necessarie. Continuo a camminare, immerso negli odori delle fritture di un ristorante che si mischiano con quelle del ristorante contiguo, in un susseguirsi di posti dove le cose da mangiare hanno molti nomi italiani ma un aspetto che io, da italiano, non riconosco.

Sono arrivato alla fine del lungomare di plastica. Non perché finisce, ma perché ci sono dei lavori e non è possibile proseguire. Appoggio le mani sulla transenna che interrompe la passeggiata e mi affaccio alla buca, non so, come per vedere cosa c'è sotto quanto è stato costruito. Mi piace sempre andare a vedere cosa c'è sotto, ma questa volta la sorpresa non è piacevole. Sotto la plastica colorata c'è il nero. Un nero maleodorante, come se gli operai oltre la transenna stessero lavorando nel canale delle fognature. Però non è lo stesso nero di prima, è opaco, inquietante. Gli operai che stanno lavorandoci mi notano e mi invitano ad andarmene, non si può stare lì a guardare.

Fine della passeggiata. Per arrivare alla casa che mi ospiterà si rientra nel nero, quello lucido. L'impressione di poco prima era giusta, ciò che ho visto sotto la strada non era quel nero li, era una cosa differente, una materia che al contrario di questa era artificiale, più simile ad un bitume maleodorante. E' l'ora di andare a dormire.

Il primo pensiero, al risveglio, quello di uscire e di andare a vedere da vicino. Ho la fretta di un bambino che, appena smesso di piovere, vuole andare a pesticciare le pozzanghere. Sono in un paese piccolo, semplice, dove c'è un bar che quando entri ti sorridono e ti salutano, ti porgono la tazzina con il caffè con naturalezza, appoggiandola come se quello fosse il posto dove ti hanno sempre messo il caffè da un sacco di anni. Sarebbe interessante da approfondire, ma come il bambino ho fretta di uscire fuori, a vedere quei sassi neri. Finalmente ci sono.

Il terreno è aspro, non mente sotto i tuoi piedi. Quelli che hai sotto le suole sono sassi, sassi duri fatti di sasso, puro, purissima roccia. Niente plastica. Mentre cammino, ascoltando il suono dei miei passi, sento quella strana forma di piacere che viene dalla scoperta, come appena affacciato dietro l'angolo di un muro ed iniziare a vedere cosa c'è dall'altra parte. Cammino ancora, forse per un'ora. E' a quel punto che per la prima volta alzo lo sguardo e vedo il monte, il posto da dove tutti questi sassi sono rotolati giù, il padre dell'isola, colui che in mezzo al mare, dal nulla, l'ha fatta sorgere dalle acque, nera e lucente.

Mentre pensavo che per il primo giorno poteva bastare, voltandomi per tornare sui miei passi, la mia attenzione era stata rapita da qualcosa di fulmineo e brillante, troppo brillante per non colpire lo sguardo su quel terreno così diverso. Una lucertola che solo in parte aveva il colore della pietra, ma con delle macchie gialle e azzurre vivissime nella parte laterale e inferiore del corpo, tale da renderla mimetizzata con il terreno solo a chi la osservasse superficialmente, dall'alto. Correva come un fulmine ma non avevo difficoltà a seguirla con lo sguardo proprio a causa di queste macchie di colore. Una corsa fino a una spaccatura del terreno, dove con la stessa velocità si era però dissolta. A quel punto era la spaccatura che attirava la mia attenzione. Una ferita nel terreno che via via si allargava, metro dopo metro, fin dove quasi si poteva intravedere cosa c'era sotto. Mi piace sempre andare a vedere cosa c'è sotto. Ancora pochi metri e la larghezza a quel punto della fenditura avrebbe permesso ai raggi del sole di illuminare e mostrarmi il posto dove si era rifugiato quell'animale iridescente.

Lo sguardo si era aperto su un paesaggio brillante, vivo, dipinto dalla stessa persona con gli stessi colori della lucertola, giallo e azzurro, come se sotto il nero della roccia ci fossero il sole e il cielo. Era sicuramente il secondo posto a cui apparteneva quella creatura, coerentemente con la sua doppia possibilità di mimetismo. Un mondo nascosto e multicolore, appena visibile da una fenditura. Un mondo che solo chi con calma passeggia, cercando magari tutt'altra cosa o forse senza sapere nemmeno cosa cerca, improvvisamente lo incontra. Una fenditura da cui si sprigionava un odore di fiori, di piante, di primavera.

Tornato al bar volevo condividere la cosa con la ragazza dietro al bancone, ma mentre cercavo di mettere faticosamente una dietro l'altra le parole giuste nella sua lingua, si è voltata, mi ha preparato un altro caffè e lo ha messo sul bancone nello stesso esatto punto dove lo aveva appoggiato prima, come se quello fosse il punto dove tutte le mattine, da sempre, mi mette il caffè. Il suo sguardo tra il divertito e l'annoiato, quello che potrebbe avere una persona quando gli vuoi raccontare quella che consideri una scoperta incredibile, ma che per lei è invece una cosa normale e che conosce da sempre.

 

 

2- Pedro

Si viaggia per curiosità, per divertimento, talvolta per trovare se stessi. Questo terzo e ultimo caso è il meno frequente e soprattutto il meno turistico perché lo si può fare anche passeggiando dietro casa, a patto che si sia nella condizione di spirito giusta. Va però detto che lontano da casa succede spesso di trovarsi in una condizione che ti pone davanti a te stesso, così come ci sono posti nel mondo impregnati di grande spiritualità per cultura e tradizione che effettivamente creano una situazione utile allo scopo. Lontano da casa, è più difficile essere distratti dal proprio quotidiano, quella cosa che ci si sveglia, si trascorre la giornata in modo più o meno consueto, arriva la sera, si cena, si va a letto, ci si sveglia, si ricomincia, e passano i giorni senza che ci sia stata l'occasione per fermarsi un attimo a riflettere riguardo a dove ci stanno conducendo questi giorni che passano. Si potrebbe quindi affermare che questa cosa, cui  diamo questo nome un po' vago, trovare se stessi appunto, rappresenti un passo fondamentale da compiere nel momento che ti poni delle domande sul significato della tua vita.

Il mio caffè era per il secondo giorno sul bancone dello stesso bar, nel punto esatto dove doveva stare, come se da anni il mio caffè, ogni mattina, fosse servito li. Effettivamente è stata fin da subito una cosa piacevole il fatto che le persone che vivono in quest'isola, indipendentemente dalla loro socievolezza o meno, ti facciano sentire come uno che sta qui da sempre. Non vieni osservato neppure con troppa curiosità, come per farti sentire una persona di casa, del posto. E poi, fin dal primo giorno, il fatto che un sacco di persone che non conosci ti salutano quando le incontri. Questo il mio pensiero fin dalla mattina. Un viaggio è una cosa che compri: il biglietto dell'aereo, la stanza dell'albergo, il ristorante, qualche souvenir, di prezzo più o meno low cost, ma tutto ha un prezzo. E poi scopri che per un cenno di saluto, un sorriso, un buongiorno da parte di persone di cui per la prima volta incroci lo sguardo, niente ti viene chiesto se non, nel caso, di ricambiare. Ero deciso a prenderne a piene mani.

Avevo scelto sulla cartina una delle cittadine che mi sembravano più grandi, dove ci fosse quindi molta gente che normalmente girava per le strade, affaccendata nel suo quotidiano. Il tragitto in autobus era stato un po' deludente, forse per il fatto che molti erano pendolari che si recavano al lavoro, immersi probabilmente nei propri pensieri. Appena sceso però le cose erano andate molto meglio. Dopo appena una mezz'ora c'era stata anche una persona che si era fermata per salutarmi dandomi la mano. Anche al bar un tipo era sopraggiunto da dietro dandomi una pacca sulla spalla, e siccome stavo bevendo il caffè me lo aveva fatto andare di traverso tra le risate di tutti. In tarda mattinata una signora mi aveva fermato nel corso principale e si era intrattenuta brevemente a parlare con me, non so bene di cosa viste le difficoltà della lingua, ma indicativamente mi chiedeva rassicurazioni sullo stato di salute mio e di tutta la mia famiglia, a cui avevo risposto positivamente con ampi sorrisi e cenni rassicuranti del capo. Sull'ora di pranzo, davanti alla cattedrale, un tipo dall'altro lato della piazza mi aveva fatto da lontano ampi gesti con le mani, per poi avvicinarsi a me per salutarmi chiamandomi per nome.

Ma io non mi chiamo Pedro.

Beh, in questo caso probabilmente non era stata la consueta gentilezza ma un equivoco. Ci avevo ripensato poi camminando senza meta per il resto pomeriggio, fino a quando, oramai stanco, ero risalito sull'autobus. Sempre attaccato al finestrino per godermi i paesaggi, le facce delle persone alla guida, affiancate nel traffico, giocando a immaginarmi dove stessero andando, chi fossero, cercando di indovinare i loro pensieri. Forse fa lo stesso qualcuno, quando magari osservano il mio volto assorto, nel traffico, nella mia auto quando torno a casa dal lavoro. Anche quello qui a fianco in questo momento, con l'auto esattamente uguale alla mia, sembro io, no, è qualcuno che mi assomiglia veramente molto, ma veramente veramente  molto, il mio stesso modo di tenere una mano sul volante e il gomito appoggiato allo sportello, il telefono e le sigarette sul sedile a fianco, ma quello sono io, no, non posso essere io, visto che io sono io e sono qui nell'autobus.

No, quello non sono io, quello è Pedro.

Certo, i casi della vita. Arrivare in un posto lontano e trovare una persona che ti assomiglia in modo così incredibile. La natura è strana. Un essere umano è il prodotto di miliardi e miliardi di combinazioni, già stabilite in gran parte in una mappa che viene creata con te a partire dal momento del concepimento, tale per cui è verosimile che una somiglianza sia possibile solo per motivi che intervengono in quel momento, come per esempio nel caso di due gemelli che hanno origine dalla stessa cellula fecondata. E invece, a migliaia di chilometri di distanza, il caso ha fatto si che si ricreasse una identica combinazione. Il caso, la nostra parola preferita tutte le volte che succede qualcosa di cui non siamo in grado di dare una spiegazione. Certo, sarebbe interessante incontrare questo tipo. Sono arrivato, scendo dall'autobus, attraverso la strada e riprendo di nuovo l'autobus in direzione opposta.

E' passata da un po' l'ora di cena. Mi faccio guidare dal gioco e dalla convinzione che siccome lui è come me, è nello stesso locale dove andrei io. Un colpo di fortuna, o forse il fatto che i locali non sono molti, ci indovino alla prima. Entro senza farmi notare e mi siedo in una parte un po' nascosta. Prima voglio osservarlo. Certo, che privilegio sarebbe quello di poter osservare se stessi nei vari momenti della giornata, guardarsi, per così dire, dall'esterno, per capire forse meglio se è giusto quello che stiamo facendo, se stiamo procedendo in una direzione che è quella che vogliamo veramente. Uno sguardo oggettivo alla nostra vita, fatto però da una persona che ci conosce bene come appunto noi stessi, che al momento giusto rientra al suo posto, dentro il proprio corpo, pronto a recepire eventuali correzioni o aggiustamenti di rotta. Pensieri curiosi, prima che succedesse l'incidente al bagno.

Una necessità e le due birrette bevute mi hanno costretto ad uscire dall'ombra. Mentre io assolvevo il compito probabilmente anche lui ha avuto la stessa idea, e così quando ho aperto la porta per uscire dal bagno me lo sono trovato davanti. Un'entrata troppo stretta per passarci in due contemporaneamente, ci ha costretto prima ad indugiare entrambi come per far passare prima l'altro, per poi partire contemporaneamente e ritrovarsi quasi incastrati, sempre continuando a fissarci con gli occhi spalancati. L'ultima cosa che ricordo è che nonostante fossimo praticamente attaccati non sentivo il contatto con il suo corpo, con la sua persona.

Sono uscito dal locale e sono tornato a casa in macchina.

 

 

3 - ritorno a casa

Non ho passato qui molti giorni, ma forse, complice l'atmosfera, tutte le cose che mi stanno intorno mi sono da subito diventate familiari. Il letto, la porta di casa, i volti delle persone che incontri per strada, la barista che ti fa il caffè al mattino, insomma, le cose più importanti. E poi, i sassi del vulcano.

Si, le rocce che mi hanno accolto fin dal primo momento sono di ossidiana, una pietra vetrificata di colore nero lucido che si forma durante le eruzioni vulcaniche. Esistono molte teorie fantasiose che partono dalla loro composizione silicea per dimostrare una certa ricettività da parte del corpo umano riguardo a presunte vibrazioni emesse appunto da queste rocce. Quando me l'hanno raccontato, effettivamente sono partiti da oggettività scientifiche, ma non ho capito al punto dove queste eventualmente si interrompevano prima di arrivare alle conclusioni finali. Non mi interessa nemmeno tanto. Perché il fatto è che comunque, che quando sei in mezzo a questi sassi neri e lucidi non senti l'affanno del quotidiano, non ti arrabbi se qualcuno arriva tardi ad un appuntamento (o se non arriva affatto fino al giorno successivo, o quello ancora seguente, che è la cosa più probabile) senti che per tante cose che fino a quel momento avevi considerato importanti non è il caso di prendersela troppo, insomma, sei sereno. E' semplice e quasi banale rendersene conto quando si è li, così come è difficile spiegarlo a chi li non c'è. E nella paura di non capirlo più una volta che ci se ne allontana, la mente partorisce il proposito criminale.

Criminale perché è assolutamente proibito portarsi via, a casa, i sassi del vulcano. E' un reato. Ti perquisiscono all'aeroporto, te li trovano, e ti arrestano. Però è più forte di te, e decidi di tentare. Nella certezza che molti ci avessero già provato e che qualcuno fosse comunque riuscito a farla franca, lo avevo deciso già da un po', probabilmente, in modo inconscio, addirittura dal primo giorno. Il momento che si rimette tutto in valigia per tornare a casa è quello giusto per elaborare una strategia.

La valigia usata come nascondiglio ovviamente non rappresenta una buona soluzione, perché con i raggi X e tutti gli strumenti tecnologici che ci sono adesso, è il primo posto dove vanno a guardare. Ti beccano sicuro. E ti arrestano. Il vantaggio sarebbe però che con il sasso nel bagaglio, lontano e al sicuro, non ne subiresti l'influsso. Si, perché se all'aeroporto ce l'hai con te, diciamo in qualche tasca, sei sereno, hai quello sguardo appagato, con un piccolo velato sorriso di soddisfazione che si nota lontano un chilometro. E quelli, i poliziotti, sono esperti. Ti guardano un attimo negli occhi, se ne accorgono subito e ti spediscono nella stanzina delle perquisizioni. Però, con tanta forza di volontà e qualche trucco ce la posso fare. Al checkin non ce n'è ancora bisogno, non penso che anche se la ragazza al banco se ne accorgesse farebbe la spia. E poi anche lei ha una faccia serena, ha sicuramente il suo sassetto li con se, magari in tasca. Il pericolo avrebbe iniziato ad esserci nell'avvicinamento al controllo dei bagagli a mano.  Ho chiuso gli occhi un attimo, ho stretto i pugni e mi sono incamminato, concentrato sulla mia tattica.

E così, passo dopo passo, ho iniziato a pensare alla sveglia che suonava la mattina, a quando vai in cucina e ti accorgi che è finito il caffè, a quando sei seduto sulla tazza del cesso e ti accorgi che è finita la carta igienica, a quando la sera torni a casa dopo due ore di coda in automobile, apri il frigorifero ed è vuoto. Alla domenica sera quando pensi che domani è lunedì, a quando andavi a scuola e la domenica sera pensavi che "domani è lunedì, mi interrogano e non ho studiato". Sta funzionando, sono già nel percorso guidato a zig-zag che conduce ai metal detector e tutto sta procedendo per il meglio.

E' curioso quel tipo di percorso. Se ci sono moltissime persone serve per incanalare bene la fila, ma quando come in questo caso non c'è nessuno, a parte me, per fare quei cinque metri che ti separano in linea d'aria dal varco, devi farne centocinquanta. Sei li vicino e non arrivi mai. E' soprattutto sto esaurendo le energie e tutti i pensieri negativi possibili e manca ancora parecchio.

La vacanza è finita, basta spiagge e bagni al mare, si torna a casa che fa un freddo boja. Sono stanco, domani torno al lavoro, questi giorni sono passati troppo in fretta, ma mi deconcentro, nella mia testa si fa largo il suono del mare che senti accostando all'orecchio una conchiglia. Uno dei poliziotti mi osserva. Forse si è accorto di qualcosa, forse mi osserva perché è normale che mi osservi, visto che ci sono solo io. Cerco di reprimere il sorrisetto che si sta disegnando sul mio volto mordendomi il labbro per trasformarlo in una smorfia. Si, sta osservando proprio me. Oramai sono in ballo, vado avanti, o la va o la spacca. Cerco di pensare alle storie d'amore più deludenti della mia vita, ai momenti più umilianti, ai tradimenti, ai fraintendimenti, ma il suono della conchiglia si fa rapidamente largo anche in mezzo a questi. Continua a guardarmi, il poliziotto è un metro davanti a me, ma siccome ho ancora due curve sono in realtà venti i metri ancora da percorrere.

L'ultima curva. Di positivo c'è che adesso sono girato di lato e non mi vede in faccia. La curva si avvicina, pochi passi e me lo troverò ancora davanti. Il suono della conchiglia, il rumore del mare, diventa un flauto.

Una via d'uscita, c'è una via d'uscita prima della curva, il percorso si sdoppia, da una parte si va definitivamente verso il controllo e dall'altra si esce. Probabilmente è per chi vuole accompagnare una persona che parte, lo può fare fino a qui per gli ultimi saluti e poi uscire. Potrei anch'io svoltare velocemente e corrermene via. Una parte di me vuol prendere questa via d'uscita e l'altra l'ultima curva verso il posto di polizia, arrivo a dieci centimetri e ancora due parti del mio corpo sembrano procedere in due direzioni diverse, un centimetro, sento dolore come se il mio corpo si dividesse in due, sono davanti al nastro del metal detector. Mentre lo zaino sta entrando nella bocca dalla macchina non penso più nemmeno al poliziotto, sento una grande malinconia, come normale quando si lascia qualcosa. Poi, mentre riprendo lo zaino, mi volto e lo vedo.

Pedro, con il mio sasso in mano, lo getta per aria e lo riprende come fosse una pallina. E' lui che mentre eravamo nel percorso ha preso l'altra uscita, quella per quelli che non partono, e che mi sta salutando con la mano, sorridente. Sempre da lontano lo vedo voltarsi e dirigersi verso l'uscita dell'aeroporto, la parte di me che ho trovato qui e che qui ho lasciato.

 

 

4- Epilogo e dubbio finale

Sto guidando lungo il tratto appenninico dell'autostrada del sole, un giorno come tanti che tornando da Milano aspetto di percorrere quella curva in salita dopo Roncobilaccio in cui si incontra il cartello di confine prima di rientrare a casa. Già, a casa, il posto al quale non potrei non ritornare dopo ogni viaggio. L'allegria che mi mette sempre il cartello con la scritta "Toscana" lascia però subito spazio a un dubbio. Come è conciliabile tutta questa euforia con l'esperienza appena vissuta poco meno di una settimana prima in un posto così lontano, un posto così "non casa mia". Come se la vita fosse un sentiero che si percorre alla ricerca di qualcosa, ma che alla fine ti conduce esattamente da dove sei partito. Forse quel qualcosa che cerchiamo non è un posto dove arrivare, ma il semplice camminare.

 

 

 
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