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...come un uccellino canta senza sapere di cantare...

Post n°372 pubblicato il 13 Aprile 2015 da max_6_66

 
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Come vincere con certezza al Gratta & Vinci

Post n°371 pubblicato il 22 Marzo 2015 da max_6_66
Foto di max_6_66

L'idea è nata perché io alla trasmissione del pensiero ci credo. Ma non a quella tra le persone, no. Io credo alla trasmissione del pensiero tra le persone e le cose. Forse non è proprio una situazione che riguarda i pensieri intesi come parole, frasi, discorsi di senso compiuto, nel senso che non si possono trasmettere queste cose ad una patata, per quanto la si fissi intensamente e con tutte le migliori intenzioni possibili. Io mi sto riferendo a pensieri più vaghi, sensazioni, emozioni, positività o negatività, che anche senza esserne consci trasmettiamo a tutte le cose inanimate che ci circondano. Anche le persone che ci stanno vicine recepiscono con facilità i nostri stati d'animo senza bisogno che vengano espressi con le parole, ma in quel caso la trasmissione avviene attraverso la comunicazione non verbale, il linguaggio del corpo, a sua volta codificati da un cervello che assimila ed elabora istintivamente tali informazioni. Quello che succede in cucina, ad esempio, è invece tutta un'altra storia.


Quando cucini, il tuo atteggiamento verso le persone a cui sono destinati quei piatti, viene assorbito dagli ingredienti in modo decisivo. Nel ristorante dove un cuoco non ama i suoi clienti non si mangerà mai bene. Vogliamo poi parlare del ragù della mamma? Anche usando gli stessi ingredienti pesati al milligrammo con un bilancino di precisione e cronometrando al millesimo di secondo ogni fase della lavorazione al fine di riprodurla con esattezza scientifica, ne verrà sempre un ragù che di quello della mamma non è nemmeno lontano parente. E mamme con le bilance di precisione e il cronometro che preparano il ragù, io non ne ho mai viste. Eppure lo si riconoscerebbe a occhi bendati in mezzo ad altre mille pastasciutte. Quando la mamma prepara il ragù, c'è un ulteriore ingrediente, irriproducibile, che dai suoi pensieri passa dentro il tegame. Questa l'unica spiegazione possibile.

Io non ne do la colpa al tabaccaio. E' una lotta tra poveri, una guerra dei bottoni, e partecipandovi si fa solo l'interesse dei veri responsabili. Lui ha bisogno di quell'otto per cento del cosiddetto aggio, ovvero della percentuale sulla vendita dei gratta e vinci. Sono soldi che servono per contribuire a quanto gli è necessario per vivere, e non è detto che sempre siano sufficienti. Normale quindi che mentre ne strappa uno dalla fila e te lo consegni sia concentrato su quello e non certo sul fatto che tu possa vincere. Sicuramente non è pervaso dal tuo stesso sentimento di speranza quando lo compri, quella di risolvere la tua situazione, di cambiare finalmente in modo decisivo la tua vita. La stessa speranza che, allo stesso vero responsabile della guerra dei bottoni di cui sopra, fa comodo. La speranza, anche se infinitesima, assopisce volontà e forza necessarie per ribellarsi a questo stato di cose. E il grande responsabile non vuole che le cose cambino, visto che contribuiscono al mantenimento del suo privilegio.

Tutte queste conoscenze erano già a mia disposizione, ma non in modo così lucido come mi è apparso in questo momento, leggendo casualmente l'ennesimo fatto di gossip che affolla oramai quella carta nata in realtà un tempo per diffondere l'informazione. "Disoccupato da dieci anni vince un milione di euro al Gratta & Vinci". Ma certo, il tabaccaio lo conosceva, sapeva, ha strappato il tagliando e mentre lo teneva in mano per consegnarlo ha provato pietà, ha desiderato che fosse vincente, si è sentito come possibile strumento di questa possibile giustizia divina e ne ha provato grande felicità. Una lacrima di commozione è caduta sul cartoncino nel breve tragitto in cui, attraverso le sue mani, passava dalla fila degli altri sfigati e non vincenti, a quelle dello sfortunato senza speranza, e il miracolo è avvenuto. Passata l'estasi mistica, decido di passare al piano d'attacco.

La barba incolta. Una settimana di barba incolta vuol dire che te la vuoi far crescere, due o tre giorni danno più l'idea del disagio. Ci vuole un Tabaccaio che non mi conosce, magari di una zona lontana da casa mia. Prima ci vado qualche volta per farmi notare. Si, per comprare qualche pacchetto di sigarette a basso prezzo, chissà se esistono sempre le Nazionali. Mentre sei li sfuggono delle parole, si attacca discorso, una storia si trova, non c'è problema, e insisto giorno dopo giorno fino a che mi accorgo della comparsa dello sguardo pietoso e caritatevole. E a quel punto, la mossa finale, l'acquisto del Gratta & Vinci, pagando con gli spiccioli, meglio se piccoli, una manciata, uno sguardo al tagliando come se guardassi una ampolla di antidoto dopo essere stato morso da un serpente, ed è fatta, il Milione di euri è mio.

Ma poi, che ne faccio di questi soldi. Magari mi viene la paura che me li rubino, divento diffidente, sospettoso, inizio a pensare che le persone mi stiano vicine solo perché ho questi soldi, tutti mi rifuggono, perdo gli amici e le persone care. E poi non sarebbe giusto, si tratterebbe di un inganno, di biglietti vincenti non ce ne sono molti e se uno me lo accaparro io sarebbe come rubarlo ad un altro che ne ha magari veramente bisogno.

Mentre tutta questa confusione annebbia fino alla paralisi i miei pensieri, il telefono. E' il Babbo, mi chiede se oggi vado a pranzo da loro perché la Mamma ha fatto il ragù. Il ragù. Ci mancherebbe, e chi se lo perde, arrivo subito. Anzi, prima vado a farmi la barba.

 
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.....che viene il vento e ti porta via

Post n°369 pubblicato il 14 Marzo 2015 da max_6_66
Foto di max_6_66

La faccenda della tempesta di vento in Toscana della scorsa settimana tutti la conoscono per averla sentita al telegiornale, ma fino ad ora nessuno ha mai raccontato le cose come sono veramente andate. Anch'io ci ho messo un po' di tempo a capirlo, ma adesso penso di avere elementi certi che mi permettono di raccontare cosa è veramente successo.

Il primo sospetto che c'era sotto qualcosa di strano l'ho avuto appena uscito di casa, la sera stessa. Certo, il tempaccio della notte successiva e della mattinata da poco trascorsa avevano sicuramente condizionato in negativo la voglia delle persone di uscire di casa, ma l'impressione che in giro ci fosse meno gente del normale era palpabile. Si notava soprattutto considerando il fatto che stavo andando in giro per le cantine di venerdì sera. Nemmeno una tormenta di neve fermerebbe le persone che di solito le frequentano e che adesso stranamente non incontravo. Spiriti liberi, mezzi matti e mattacchioni, anarchici nostrani e delle piccole cose quotidiane, personaggi fuori dal gregge. poco propensi al luogo comune e alle serate passate davanti alla televisione a guardare il serial o il reality di cui tutti (gli altri) parlano. Dopo il secondo bicchiere avevo trovato il coraggio di condividere questo mio pensiero con l'oste, trovando in lui un alleato nella strana condivisione di questo pensiero, ma che come la categoria impone, aveva velocemente chiuso la questione con la vaga e frettolosa soluzione che se li era portati via il vento. Dopo il terzo bicchiere non avevo fatto fatica a farla mia.

Facendo la spesa, il giorno seguente, tutto era dimenticato e il supermercato era veramente stracolmo. Stracolmo di gente e di carrelli. Perché la quantità di spesa che tutti stavano facendo era talmente esagerata al punto che anche le coppie avevano un carrello a testa. Potrei giurare di aver addirittura visto alcune persone con più di un carrello, affannati dal compito di trascinarli entrambi, uno alla volta, pieni all'inverosimile, cozzando da tutte le parti, nel tentativo di avvicinarli alla cassa. Io cerco di solito di fare una buona spesa, che mi basti più o meno per la settimana, ma senza farmi prendere la mano da ciò che non è strettamente utile. Arrivato il mio turno alla cassa, sentendomi però un po' in difficoltà per il mio solo cestello di merce indispensabile, mi era comunque venuto in soccorso lo spirito di fare una battuta alla cassiera, ironizzando sul fatto che per un po' di vento era venuta a tutti la sindrome della catastrofe naturale al punto di accumulare provviste come se dovessero rimanere in un rifugio antiatomico per almeno tre mesi.

"E lei si fa vedere che compra solo questa poca roba ? E solo cose da mangiare, niente che non sia strettamente utile. Nemmeno, che so, un cellulare?"

Che s'è perso il senso della misura in tutto ciò che è racchiuso nella parola "comprare" mi sembra davanti agli occhi di tutti. Ma che uno si debba sentire un reietto della società solo perché andando a fare la spesa il sabato al supermercato non compra né un cellulare né un televisore, o almeno un impiantino stereo, di quelli piccoli piccoli, fatti in Cina, che costano poco perché costano poco le vite di chi li costruisce, è una situazione degna di un incubo serio, di quelli che fai quando a cena mangi la peperonata. E poi, il cellulare ce l'ho già, da tanti anni, funziona bene. La televisione ce l'ho, e la guardo pure poco, quindi per quanto la consumo mi durerà altri cent'anni. Ma parlando proprio in generale, mi sembra già di avere veramente tanto di più di quello che mi necessita veramente. Mi capita più spesso di vergognarmi del troppo che ho, piuttosto che di quello che mi manca. Anzi, di quello che vorrebbero convincerci che ci manca. Ma in queste convinzioni, dopo questa nottata di vento fortissimo e assurdo, mi sento sempre più solo, perché i personaggi con i quali condividevo le mie idee tra un bicchiere di vino e l'altro, sembra che siano spariti.

Anzi, pardon, "se li è portati via il vento". Come se esistesse una specie di complotto, un macchinario infernale a disposizione di chi tira i file del nostro grande Teatro dei Burattini, che con la forza di un vento incredibile rapisce le persone che non vanno bene portandole chissà dove.

Sono venuti a trovarmi la domenica pomeriggio. Stavo facendo un po' di flessioni in camera come faccio spesso, per tenermi un po' in forma, quando ho sentito quel suono insistente del campanello. Erano i carabinieri. Anzi, no, erano due poliziotti, nemmeno, avevano però una divisa su quel genere, ne sono sicuro. Volevo finire la serie di esercizi, ma il campanello insisteva sempre di più.

"Scusate, ero in camera, stavo facendo un po' di ginnastica"
"Ginnastica? E perché non va in palestra?"
"In palestra? Per fare un po' di flessioni non c'è bisogno di andare in palestra. E poi, con tutto quello che ho da fare sempre in casa, di ginnastica non me ne manca mai, perché dovrei andare a buttare via i soldi in palestra?"
"Ah, un altro consumatore consapevole, un altro eroe che non vuole comprare e non vuole spendere, che divide le cose in necessarie e non. Stia molto attento, potrebbe fare la fine degli altri" E se ne erano andati.

Maremma bonina, se li è veramente portati via il vento.

 

 
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nuova storia

Post n°367 pubblicato il 09 Marzo 2015 da max_6_66

Pubblicata.

"Strachitunt"

Un racconto di viaggio, quindi sull'altro Blog

 

 
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Castelli di sabbia

Post n°365 pubblicato il 16 Febbraio 2015 da max_6_66
Foto di max_6_66

Non è ancora giorno quando arrivo sulla spiaggia. Nonostante la giornata fredda ho voglia di sentire la sabbia sotto i piedi nudi. Camminando verso il mare, cercando con lo sguardo il posto adatto, al limite del bagnasciuga, ne valuto la consistenza, ne immagino la compattezza. Il secchiello per fare le torri è dentro lo zaino. Ma appena casualmente lo sguardo si volge lateralmente, lo vedo, centro metri alla mia sinistra, ha circa la mia età,  lo stesso zainetto in spalla e come me cammina a piedi nudi. Mi ha visto, anche se da ad intendere di guardare avanti. Guardo dall'altra parte, cento metri circa, ce n'è ancora uno, pantaloni arricciati in una fredda mattina di febbraio, stesso zainetto. Stringo gli occhi come per aiutarmi a vedere più lontano, centro metri ancora, oltre lui, un'altro. Anche alla sinistra è la stessa cosa, e il primo chiarore del mattino ne fa vedere un altro, e poi un altro ancora. L'intera costa è probabilmente invasa da una moltitudine di persone, centro metri l'una dall'atra, che procedono sulla spiaggia, scalzi, con uno zainetto sulle spalle, donne e uomini, falsamente incuranti l'uno degli altri, ma che in realtà ad un certo punto si ferma, in preda ad una specie di vergogna, di pudore, poco prima di mettere in atto il proprio intento, di mettere in opera il motivo per cui tutti sono qui, che evidentemente è lo stesso.

Da bambini si gioca a fare i grandi, sempre. Senza rendersene sempre conto, iniziamo con i giochi a simulare, studiare, quello che sarà il resto della nostra esistenza. Si inizia a capire con le regole dei giochi quelle che saranno le regole della vita. La vita non è un gioco, ma le regole sono poche e importanti, sempre quelle, che si sia grandi o bambini, che si faccia sul serio meno, che si tratti della vita reale o di quella inventata per divertimento.

Il castello di sabbia si fa sul bagnasciuga, nel punto esatto dove le onde posso arrivare, ma non troppo. Lo scopo del gioco è proprio quello di fare delle mura che possano resistere, delle torri a rinforzo, un fossato davanti che contenga una parte di acqua utile a rendere più mite l'impatto dell' onda più forte delle altre, in genere una ogni sette o ogni undici, oppure l'onda doppia. L'onda doppia sono due onde ravvicinate, tale per cui una funge come da base, da trampolino all'altra, facendola arrivare più lontano. L'onda doppia è meno forte, quindi ad un primo impatto contro le difese frontali sembra meno dannosa. In realtà, arrivando più lontano, può superare tutta la costruzione ed insinuarsi da dietro, distruggendo così facilmente il castello dalla parte dove è più debole e meno protetto dall'impatto con l'acqua.  

Ma perché il castello si fa sempre sul bagnasciuga. Se si portasse un po' di sabbia bagnata in fondo, vicino alle cabine, si potrebbe costruirne uno immenso, con calma, senza doversi preoccupare di onde che li mai potrebbero arrivare. Invece imperterriti, assistendo alla completa distruzione tutte le volte, per poi ricostruirlo con pareti più spesse e fossati più profondi, una lotta che dura l'intera mattinata. Poi la mamma ti chiama ed è arrivata l'ora di andare a pranzo.   

Con il passare degli anni è tutto uguale. L'unica cosa che manca è la voce della mamma che fa finire il gioco. E io, con la stupidità tipica che si acquista nel crescere, sto pensando che devo capire, che devo trovare una soluzione. Una soluzione in grado di salvare l'ennesimo castello che mi sono costruito. E insieme a questo numero indefinibile di stupidi come me, sono su questa spiaggia, con uno zaino dentro il quale ho ben nascosto secchielli e formine. Perché non ci si può far vedere in giro a quasi cinquant'anni sulla spiaggia con le formine, il secchiello e la paletta. Una fila di uomini e donne, che a distanza di cento metri l'uno dall'altro vuole capire cosa succede adesso che non c'è una mamma che ti chiama, che questa lotta tra il castello e le onde del mare non si interromperà, se non dopo la sconfitta di uno dei due. A costo di starci una vita, o si riesce a fare il castello perfetto, o ci si arrende definitivamente. Qualcuno ha vinto la vergogna e si sta già portando nel punto giusto. Rimango immobile osservando qualcuno che si è già piegato sulle ginocchia, ha svuotato il contenuto dello zaino davanti sta raccogliendo ampie bracciate di sabbia umida davanti a se. Perché il castello lo costruisci davanti a te, inginocchiato, come se fossi tu la cosa preziosa da proteggere dal potere distruttivo delle onde.

Oramai l'opera di ingegneria collettiva è nel pieno. Solo io rimango in piedi, fermo, guardando a destra e a sinistra un po' tutti, come se volessi cogliere una spiegazione, uno spunto, qualcosa che mi dia conferma della sensazione che si sta facendo spazio dentro di me. la convinzione che in tutto questo ci sia qualcosa che non torna. Paralizzato per un tempo indefinibile da questi pensieri, finalmente la trovo. Me ne accorgo quando tutti si bloccano, all'unisono, subito dopo aver alzato la testa dalla propria opera ed averla rivolta verso un unico stesso punto dell'infinita spiaggia.

Distratti dai nostri pensieri, nessuno di noi ci aveva fatto caso. Uno dei tanti che formavano l'infinita fila aveva appoggiato lo zaino per terra, si era spogliato e si era tuffato in mare. Alcune bracciate, un po' di galleggiamento sul dorso,  una giravolta da delfino ed un' immersione. Non più di dieci minuti, nell'acqua fredda, per poi uscire e dirigersi verso il punto in cui aveva lasciato le sue cose. Aveva aperto lo zainetto che anche lui, come tutti, aveva, ma non ne erano uscite né palette, né formine. Solo un asciugamano, che velocemente si era avvolto intorno al corpo. Come se fosse finito l'incanto, in quel momento tutti si erano di nuovo mossi ed erano ritornati alla loro battaglia.

Ed io, che ancora non riesco a capire, riesco solo a seguire un istinto strano, che mi porta a voltarmi e tornare sui miei passi. Sospetto fortemente che le mie gambe mi stiano riportando verso casa. A prendere l'asciugamano.

Per il resto ci penserà la vita. In qualunque posto ci porterà, sempre si vedrà la luna anche da li.

 

 

 
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