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Un sorriso, uscendo di casa.

Post n°351 pubblicato il 02 Febbraio 2014 da max_6_66
Foto di max_6_66

Così, di prima mattina, quando cammini verso il bagno e ancora cerchi di ricordarti come ti chiami, mai immagineresti un trauma simile nel guardarti allo specchio. I primi cinque secondi non ti rendi conto e niente ti può stupire, ma appena cominci a concretizzare che quello che vedi è la realtà e non sei dentro il mondo dei sogni, l'è una bella botta. Nonostante la mostruosità della cosa non ti metti ad urlare, non svieni dallo spavento, non scappi nudo fuori di casa. Rimani a bocca aperta, paralizzato, con il cervello ingrippato in cerca di una spiegazione logica che non è possibile trovare.

Non volevo nascondermi, non volevo scappare, solo curiosità.

Dopo lo spavento, la risata. Essere in bagno, lavarsi la faccia, rialzare il capo e trovarsi davanti una specie di cartone animato è una cosa che fa ridere. Anche se la cosa che hai davanti è uno specchio. Un cartone animato bellino, simpatico, che ti assomiglia in fondo, come se fosse stato disegnato da un tratto che seguiva i tuoi lineamenti, prendendone la parte migliore. Come se qualcuno avesse disegnato il te stesso che desideri essere.

Non volevo nascondermi, non volevo scappare, solo curiosità.

Anche il fine settimana scorso, rientrato in casa a notte fonda, ripensavo a tutte le cose fuori luogo dette al posto di quelle che avrei dovuto e voluto dire, le battute che non mi erano uscite bene, le cose che dicevo e che nessuno ascoltava. Ho letto un sacco di libri su come bisogna diventare, su come bisogna sembrare, su come si fa a piacere. Anche il fine settimana scorso ci avevo ripensato prima di uscire, avevo costruito il mio piano, avevo ripassato la lezione. Niente da fare. E allora mi ero collegato in rete, mi ero creato un profilo, mi ero creato un volto e un corpo di fumetto, con un programmino fatto apposta. Quella, pensavo in quel momento, era l'unica cosa giusta fatta in tutta la serata, perché il profilo e il personaggino erano lo specchio esatto di quello che c'era scritto in tutti i miei libri.

Non volevo nascondermi non volevo scappare, solo curiosità.

Dopo lo spavento la risata, e continuavo a ridere, ridere a crepapelle di quello che la notte prima mi era sembrato perfetto, e che adesso cominciavo a vedere nello specchio del mio bagno per quello che era: un bamboccio. Una risata è quella che ti salva sempre. I muscoli delle mascelle si muovevano, oscillavano, la pelle vera riprendeva la sua elasticità, quella sotto la maschera di gesso che formava la faccia a cartone animato. Le risate aumentavano e il gesso iniziava a sgretolarsi, i pezzi cadevano nel lavandino, fino al crollo finale di quanto ancora rimasto attaccato al mio volto. Una nuova lavata di faccia, acqua gelida, un ultimo sorriso per gli ultimi pezzetti ancora rimasti appiccicati, e nello specchio c'ero di nuovo io.

Poi mi sono vestito, e sono uscito a far vedere la mia brutta faccia sorridente in giro.

L'arruffio, se c'è, dunque è voluto, ma non da me, bensì dalla favola stessa, dagli stessi personaggi: E si scopre subito, difatti. Spesso è concertato apposta e messo sotto gli occhi nell'atto di concertarlo e di combinarlo: è la maschera per una rappresentazione, il giuoco delle parti, quello che vorremmo o dovremmo essere, quello che agli altri pare che siamo, mentre quel che siamo non lo sappiamo neanche noi stessi. La goffa, incerta metafora di noi, la costruzione, spesso arzigogolata, che facciamo di noi, o che gli altri fanno di noi. Dunque un macchinismo, in cui ciascuno volutamente, ripeto, è la marionetta di se stesso; e poi, alla fine, il calcio che manda all'aria tutta la baracca. (L. Pirandello)

 

 

 
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