Creato da: max_6_66 il 30/06/2009
storie.....

 

Contatta l'autore

Nickname: max_6_66
Se copi, violi le regole della Community Sesso: M
Età: 57
Prov: PO
 

BLOG CIRCOLILLA

Caricamento...
 

altro mio blog (viaggi)

Caricamento...
 
 

LE PRIME 100 STORIE

- Una storia vera
- Per il mio compleanno....
- Gigi che ride
- Il Principe Azzurro è gay
- "Dr. Livingstone....i suppose"
- Cercando disperatamente....
- Il ristorante di Diana
- Come mi persi, un giorno...
- Il lavoro di Angelo
- Il ballo in maschera
- Keiko: come un mese fa....
- Il segreto di Ulisse il gatto
- Cuori di pezza
- 30/06/09 - nascita del blog
- Sconosciuti
- Angeli custodi
- Raccolta differenziata
- Il mio filo d'erba
- Facendo la comare
- Notte in bianco & nero
- Petunia
- Sotto mentite spoglie
- Il ragù
- La musa
- Expulsado
- Enigma in 399 parole
- Accudire le rose
- Super Ufficio Postale
- Zingaro....
- Il Natale di massimopiero
- Un giorno intero.....
- Quando se ne è andata la neve
- Farfalle
- Vento
- La nube tossica
- Crepi il lupo.....
- Pane
- Spugna
- Rospi & Principi
- Il virus
- Interno vellutato
- Dolcenotte
- Mele
- Il carciofo e l'uovo sodo
- Rayuela
- La tregua
- Soul Food Cafè
- Gocce
- Inaspettati cuori
- L'esame
- Felicità
- E cerco ancora sogni.....
- Aguas de março
- Vorrei imparare dal vento....
- Alpha Centauri
- Quello che manca
- La centralina
- Osso di pesca
- Per troppi motivi.....
- Il filo
- Scirocco
- Responsabilità
- Il vino rosso....e la luna
- Lo sportellino nel petto
- Saltafosso
- Cecco
- La casa
- La grande corsa
- L'ultimo giorno di scuola
- L'uccellino e il pallone
- Ho sognato che.....
- Venti poemi d'amore
- Volare l'aquilone
- Indovinello
- Le pagine macchiate
- Verso un regno, dove.....
- Mosca
- Le foglie e le stelle
- La tavola rotonda
- Il grande salto
- Allevatori di farfalle
- Veleno amaro
- Ricominciare
- Il mondo a testaingiù
- La ragazza che passa
- Nuvole & Pecore
- La torre di Babele
- La frittatina di Natale
- Il sogno della porta
- Arrestato
- Il sogno della porta
- Lacci
- Gusci di noce
- La favola del folle sulla collina
- La favola dei barattoli di vetro
- La favola dell'alpinista
- Il segreto del caffè
- Il rappresentante
- La verità
- Come una puzzola rovesciata sul dorso
 

Ultimi commenti

L'amore non deve implorare e nemmeno...
Inviato da: neopensionata
il 17/11/2020 alle 17:07
 
Impegnatevi di più con i post non posso essere l'unico...
Inviato da: cassetta2
il 09/08/2020 alle 19:52
 
Grazie per il passaggio e con l'occasione auguro una...
Inviato da: gradiva1940
il 25/03/2016 alle 22:39
 
40 minuti per arrivare ad una risposta
Inviato da: several1
il 22/03/2016 alle 13:41
 
Nessuno è solo, tutti siamo particelle di...
Inviato da: g1b9
il 10/03/2016 alle 19:28
 
 
Citazioni nei Blog Amici: 59
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

Ultime visite al Blog

m12ps12cassetta2gratiasalavidadonbalosaEremoDelCuoreandreamagliogiardinitantiriccirossiradopalKaedeMaemimuzi.claudioneopensionatawxzyfolle.vagabondanicoletto.enrico
 

 

 

 
« rosediciannove »

la grande corsa

Post n°201 pubblicato il 03 Giugno 2010 da max_6_66
Foto di max_6_66

Ventiquattro luglio del 1908, un piccolo uomo di Correggio corre con un fazzoletto annodato in testa. Si, un fazzoletto. Si fanno dei nodi ai quattro vertici del pezzetto di stoffa quadrato. Il risultato è un cosa che calza perfettamente in testa. Si faceva per proteggersi dal sole. Fazzoletto annodato in testa, mutandoni, canottiera e baffi appuntiti, a Londra, nel bollente e afoso ventiquattro luglio del 1908. Sulla canottiera c’era attaccato, con alcune spille da balia, un quadrato di stoffa con stampato il numero diciannove.

“Non so, ma sembra una cosa normale, di routine”, aveva detto il mio medico “una di quelle cose che sono utili per i disastri come te per sentirsi obbligati a fare ogni tanto un check-up”. Sono una via di mezzo tra un fifone e un bradipo quando ci sono di mezzo persone vestite di bianco, aghi e siringhe, stetoscopi, lastre. Quando ho qualche acciacco corro da Giovanni (il mio medico), che ne approfitta per prescrivermi subito una bella lista di analisi. Non lo fa perché servono, ma solo per togliersi la curiosità di vedere almeno un volta nella vita una cartella con i risultati delle mie analisi. Però, di solito va a finire che passano i giorni e non fisso l’appuntamento. Nel frattempo sto meglio e rinuncio a fare tutto, con sua grande delusione. In realtà una volta nella vita li ha visti, quando gli portai la cartella clinica di un mio ricovero a Praga in seguito ad un incidente. Fu un brutto incidente. Persi conoscenza e la riacquistai solo il mattino successivo, e a quel punto, forse approfittando della cosa, mi avevano già fatto tutti i prelievi e le analisi di routine. Quando ero tornato a casa ero stato subito a trovare Giovanni, nel suo ambulatorio, per fargli vedere il tutto, con la stessa allegria di un bambino che porta una buona pagella ai genitori. Un foglio pieno di numeri, scritto in cecoslovacco e latino. Non so dire se allora riuscì a capirci qualcosa, ricordo solo che rimase un sacco di tempo felice a guardarli. Quel foglio adesso è incorniciato ed appeso nel suo studio, come un trofeo, come la foto della tua squadra del cuore che vince lo scudetto, che anche se non lo vinci tu perché in campo ci sono andati i giocatori, è anche tuo perché quella è la tua squadra del cuore. Ma tornando a quella cartolina di convocazione, mi spiegava,  adesso prendono un campione di popolazione a rischio per motivi di età, di attività lavorativa o altro, per una particolare patologia, e ti fanno arrivare a casa questo invito per fare dei controlli medici gratuiti. Effettivamente è una forma di prevenzione veramente buona, e che denota una forma assistenziale pubblica attenta, civile, moderna. Ero andato dal mio medico nella speranza che mi dicesse che era un errore o una sciocchezza, invece mi aveva convinto. E comunque sembrava che non fossero previsti prelievi di sangue, iniezioni, o altre cose che mi terrorizzano.

Santi, poeti e navigatori. E maratoneti, gente che sa soffrire quando c’è bisogno di soffrire. Veniva da Correggio e si chiamava di cognome Pietri, ma quella “i” mangiata probabilmente dai giornalisti inglesi non sarebbe più ricomparsa. Vai a correggerlo un errore su un cognome scolpito nella pietra dei ricordi, marchiato a fuoco nell’immaginario collettivo di chissà quanti milioni di persone.

La stanza era abbastanza grande, con delle sedie disposte lungo le pareti. Ero arrivato tra i primi. Poche facce, che mi sembrava però di conoscere. Giovanni mi aveva spiegato che le persone per questo tipo di cose vengono scelte in base a criteri omogenei di età, ed era un po’ come la visita militare. Ti trovi a farla con i compagni di scuola, di giochi, di asilo, o comunque con persone che essendo coetanee in qualche modo hai avuto occasione di vedere in altre occasioni, anche se vivi in una città piuttosto grande. Pochi minuti e la cosa era stata confermata proprio dall’arrivo di alcuni ex compagni delle superiori. Subito strette di mano e qualche domanda banale, riguardo a quello che si era combinato fino a quel momento nella vita.

Alessandro era il capitano della squadra di calcio della scuola nei tornei di fine anno scolastico. A diciassette anni aveva già fatto alcune panchine in serie C, e per noi era un mito, sicuri che lo avremmo visto un giorno in televisione. Era fisicamente fortissimo e compensava con una grande intelligenza tattica, incredibile per un ragazzo della sua età, un piede che era buono, ma non sicuramente da professionista. Lo vedevi giocare, testa alta, passo veloce con il pallone incollato al piede, e capivi che era un talento. Però quel destro, pur migliore dei nostri, non lanciava saette e non era molto preciso. In ogni caso ce l’aveva fatta a vivere per un po’ nel mondo del calcio professionistico, girando un po’ l’Italia nelle serie inferiori. Fina a quando il caso ci mise lo zampino, facendogli scoprire che in realtà il suo piede da campione era il sinistro, quello usato fino a quel momento solo per la frizione dell’auto, che realizzò una rete mirabolante per precisione e potenza durante una amichevole precampionato contro il Milan di Sacchi, Gullit e Van Basten. Il caso, dovuto ad un infortunio che da alcuni mesi gli rendeva doloroso calciare con l’altro, che fece nascere questa visione improvvisamente nelle sua testa e scatenò la voglia di provare l’impossibile. Ne parlarono tutti i giornali della città, ma oramai era arrivato a fine carriera. Adesso aveva intrapreso da pochi anni l’attività di rappresentante di articoli sportivi e ne era discretamente contento.

Luca invece era il secchione della classe. Non è giusto però attaccargli semplicemente l’aggettivo senza spiegare. Era infatti uno di quei rari casi dove un intelligenza eccezionale, che avrebbe potuto farlo vivere di rendita e trascorrere l’attività scolastica raggiungendo ottimi risultati con poca fatica, era associata ad una passione per lo studio che lo portava a risultati inimmaginabili. Dopo il diploma aveva continuato e si era preso la laurea in architettura come bere un bicchiere d’acqua. Dopo altri tre anni aveva terminato anche lettere antiche. Dopo altri due, mentre correva verso la terza laurea, come a volte fanno i cavalli al trotto nell’ippodromo, ruppe. Mentre mi parlava, dopo tutti questi anni, non ricordava nemmeno cosa stesse studiando. Come se fosse reduce da un incidente con un tir, avvenuto nella sua testa. Probabilmente era nato tutto da una domanda del padre, fatta un giorno a pranzo, casualmente e nella più completa innocenza, che chiedeva informazioni riguardo alle sue intenzioni, su dove voleva arrivare con questo percorso di studi, a che tipo di lavoro, attività, o comunque traguardo ambiva. E questo probabilmente lo fece sprofondare nel buio. Dopo un periodo che non mi aveva raccontato cosa fosse successo o quanto fosse stato lungo, si era comunque fatto strada come designer di mobili, lavorando per firme famose. E comunque, ogni tanto, studiava ancora. Di nascosto.

Stefania era la ragazza più bella della scuola. Era fidanzata da sempre con Paolo, mio compagno di classe, il più bello della scuola. E’ sempre stato un amore simpatico, perché entrambi erano oltre che belli, anche piacevoli e divertenti. Una roba tutta diversa dall’iconografia classica di questo tipo di situazioni. Si erano sposati pochi anni dopo la maturità e al loro matrimonio mi ero divertito parecchio.  Lo ricordo bene perché alla cerimonia in chiesa avevo partecipato come musicista. Da li in poi non avevo saputo nulla e niente era trapelato nemmeno chiacchierando tra amici quando casualmente ci si incontrava in giro. Era successo che al principio avevano dato la colpa al loro essere cresciuti insieme e insieme a quell’amore, il fatto di sentirsi e scoprirsi più fratello e sorella che marito e moglie, fino a quando Paolo si era accorto di essere innamorato del suo datore di lavoro, un uomo sposato anche lui, di trenta anni più vecchio. Paolo e Stefania gli ricordo come due belle persone, e non mi stupisce il racconto che quando è successa questa cosa siano riusciti a parlarne con una certa serenità. A quel punto era stato semplice capire che anche questo nuovo amore era vero e pulito, tra l’altro pieno di una passione che dall’altra parte, pensandoci bene, non c’era mai stata. Lei era rimasta sola per un po’, ma giusto il tempo per capire che condivideva con il primo amore la possibilità di desiderare ed amare veramente solo persone del suo stesso sesso.

Ne erano arrivati altri, ai quali avevo chiesto poco, perché stavo iniziando a capire il gioco che stava avvenendo in questa stanza. E infatti quando era arrivato il mio turno di entrare nello studio adiacente e mi ero seduto davanti al dottore,  lo avevo trovato già immerso nelle carte che riguardavano le mie sconfitte, i miei sogni irraggiungibili, le mie aspettative disattese, le promesse non mantenute. Prima che iniziasse la sua arringa, ero riuscito quindi a giocare d’anticipo, ponendo una domanda che aveva che aveva smontato il suo castello prima che ne cominciasse la costruzione. Dopo aver atteso invano la risposta, mi ero alzato salutandolo ed ero uscito dalla stanza per tornarmene a casa.

Dorando Pietri, il più grande perdente di tutti i tempi, per ulteriore e sommo spregio del destino addirittura entrato nella storia con il cognome sbagliato. Colui che vinse la più massacrante e famosa maratona della storia, quella delle Olimpiadi li Londra del 1908, squalificato perché aiutato a rialzarsi da un giudice, dopo essere crollato quasi perdendo i sensi, dopo trentanove chilometri e seicentotrenta metri di una corsa lunga quaranta (sarebbe diventata solo nelle olimpiadi del 1921 di quarantadue chilometri e centonovantacinque metri, la misura che la storia vuole percorsa da Fidippide per annunciare agli ateniesi che la battaglia di Maratona era stata vinta, la stessa che la cinematografia vuole percorsa da Fantozzi con un capitello sulle spalle per annunciare invece un improbabile pareggio).

“Il nome, mi dica il nome del concorrente che vinse……..che vinse in realtà quella maratona dopo la squalifica di Dorando Petri”, avevo chiesto al dottore prima di alzarmi e lasciarlo da solo nella sua stanzetta. Era rimasto muto e pensieroso per un attimo, poi aveva allargato le braccia arrendendosi davanti all’evidenza di  una risposta che non conosceva. E’ normale. Nessuno conosce quel nome.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Vai alla Home Page del blog

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963