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Cinquanta pollici (andato in diretta su 45 audio & dintorni)

Post n°326 pubblicato il 19 Dicembre 2012 da max_6_66
Foto di max_6_66

 

Da dove cominciamo ? Dall'inizio. Anzi, dalla fine, la fine della giornata di lavoro e il rientro a casa, non subito però, perché prima si fa un giretto, non so, sono quindici giorni che voglio iniziare a comprare qualche regalo, così, per non trovarmi all'ultimo, nel caos, nella rincorsa che poi ti porta solo a comprare. Certo, un regalo è una cosa che si compra per qualcuno, ma bisogna pur metterci di più, del tempo, un pensiero dentro, che insieme contribuisca al piacere, per te di farlo, per chi lo riceve. Deve essere una cosa utile, o comunque importante. Nel traffico di tutti quelli come me che sono usciti dal lavoro, è il momento giusto per pensare. Certo, è strano che gli unici momenti che sento di avere tempo per pensare è nel traffico del rientro a casa. Il traffico è una cosa utile quindi. Se un giorno per caso mi trovassi a tornare a casa con la strada completamente libera sarebbe un giorno passato senza pensare. Andando a letto la sera mi verrebbe in mente "oggi non ho pensato, non ho avuto tempo, speriamo domani di trovare più traffico", luce spenta, buonanotte, ed è già domani.

Un regalo è una cosa che si compra per qualcuno, una cosa utile è meglio. A questo, in macchina davanti a me per esempio la freccia. Ha appena svoltato senza accenderla. Una bella freccia, ne ha sicuramente bisogno, per usarla tutte le volte che svolta. Quello dell'auto dietro a me, invece, dei guanti, dei guantoni, delle moffolone gigantesche in modo che si trovi delle manone enormi e che non riesca a suonare quell'accidente di clacson. In macchina, nel traffico, si pensa.

Sono quindici giorni che mentre torno a casa, nel traffico, penso sia utile anticiparsi, per non trovarsi all'ultimo. In questi quindici giorni l'ho solo pensato. Infatti sono trascorsi e mi sono trovato all'ultimo. Un regalo, una cosa che si compra per qualcuno. Metto la freccia (io ce l'ho e la uso, perché continui a suonarmi da dietro con quell'accidente di clacson). Nel traffico c'è sempre quello davanti che non mette la freccia e quello dietro che suona il clacson. Che siano sempre gli stessi due, tutti i giorni dell'anno, che cambiano automobile per non farsi riconoscere, ma son sempre loro? Che mi aspettano quando esco da lavorare e mi si piazzano uno davanti e uno dietro. Magari si incontrano anche prima, per mettersi daccordo. Ogni tanto si scambiano i ruoli per non annoiarsi. Oramai ho accostato e li ho lasciati proseguire. Forse ci son rimasti pure male, oppure hanno trovato un altro da mettere in mezzo. Cammino, sul marciapiede, guardo distrattamente le vetrine, ci sono tantissime cose da comprare, non mi decido, mi arrendo. Rientro in macchina, non parte. La macchina non parte. E se tornassi a casa a piedi? Non sono distante, forse solo cinquecento metri. Magari posso provare a pensare camminando, concedendomi questi quindici minuti di pensieri extra. E poi è tutto molto carino, pieno di fili di plastica con attaccate le lampadine accese, decorazioni di carta, stelle di carta, manifesti di carta. Anche per terra c'è della carta, le pubblicità dei centri commerciali, delle grandi catene di elettrodomestici, tantissima carta, una vera e propria scia che seguo, lungo il marciapiede che conduce a casa mia. La scia si infittisce via via che mi avvicino a casa, lo stesso volantino, con un televisore da cinquanta pollici in bella evidenza sulla prima pagina.

Quando sono venuto a vivere qui mi ero portato dietro un vecchio televisore, un pesantissimo televisore di quelli con il tubo catodico, che quando funzionava male gli davi un bel colpo con la mano aperta e ripartiva alla grande. Poi iniziarono ad apparire, nella cassetta della posta, tutti questi volantini pubblicitari, con un bel televisore ultrapiatto a trentadue pollici in copertina. Risparmiando qualcosa tutti i giorni ero riuscito a comprarmelo dopo pochi mesi. Funzionava benissimo, solo che era troppo piatto. E se un giorno avesse cominciato a funzionare male ? Era troppo piatto, non c'era lo spazio sopra per un bel colpo risolutore con la mano aperta. Comunque tutto era andato bene fino a quando erano iniziati a comparire i volantini con il televisore a quaranta pollici. Ancora qualche piccolo risparmio quotidiano, ed era diventato mio. Ma solo dopo una settimana, un nuovo volantino, questa volta con un televisore a LED. Dopo ulteriori mesi di risparmi e di cassetta delle lettere piena del volantino con lo stesso televisore in prima pagina, anche lui era stato mio. Ma è circa da una settimana che....Forse ho capito il trucco! Appena mi sono comprato il televisore nuovo è arrivato un nuovo volantino, con in prima pagina questo nuovo mostro: il televisore a cinquanta pollici. Oramai non ho più dubbi. Appena esco dal negozio con il televisore nuovo, mandano in stampa il nuovo volantino, con quello successivo che vogliono che compri. Ci studiano, ci spiano, ci gettano l'esca, e noi abbocchiamo, come cefali.

Siamo quindi qui, a tutti questi televisori da cinquanta pollici stampati lungo il marciapiede, che io calpesto, non senza un vago senso di soddisfazione, carta sempre in quantità maggiore via via che mi avvicino verso casa. A cinquanta metri è un vero e proprio tappeto di carta, a dieci metri intravedo già la cassetta della posta completamente piena, ostruita, intasata.

Un altro rito di tutte le sera. Estrarre questi due o tre chili di pubblicità dalla cassetta e metterli nella scatola della raccolta differenziata della carta. Così la ricicleranno, ne faranno altra carta, ci stamperanno altri depliant, me li rimetteranno nella cassetta della posta, e così via. Dal fasciame di depliant cade una busta, bianca. Una bolletta del gas o della luce ? Dell'acqua ? Tassa rifiuti, passocarrabile? Rientro in casa e la appoggio sospettoso sul tavolo, continuando ad osservarla con la coda dell'occhio mentre stivo la pubblicità da riciclare nello scatolone. Quando ho finito mi siedo e continuo ad osservarla. Passano ancora dieci minuti prima che mi decida a prenderla tra le mani ed osservarla da vicino. Non sono bollettini da pagare. L'indirizzo e il mio nome sono scritti a mano. Decido di aprirla. Anche dentro è scritta a mano.

Una lettera d'amore. Una lettera d'amore ? Ma, non capisco, che senso ha, a cosa serve. Una lettera. Una lettera scritta a mano con una penna su un foglio di carta. Siamo nel duemiladodici, tra un po' finisce il mondo, perché non hai scritto un e-mail, o in chat, un sms o usando una community.  Una lettera d'amore. Vorrei tornare alla mia macchina, provare a farla ripartire e ributtarmi nel traffico, per pensare. L'agitazione mi fa camminare su e giù per la stanza, nervosamente. Alla fine, sfinito, apro un cassetto e ne estraggo un foglio di carta. Cerco una penna, che scriva, perché di penne ne abbiamo sempre la casa piena, ma quando c'è bisogno non si trova mai quella che scrive. Anzi, ne voglio una che scriva bene, con un tratto della larghezza giusta, né troppo sottile, né troppo spesso. Trovata. Accarezzo la carta, è piuttosto spessa, ruvida, osservo la punta della penna, su questa carta il suo scorrimento farà sicuramente rumore, una specie di fruscio. la mano si muove nervosamente, mi sento come se dovessi imparare di nuovo ad andare sui pattini a rotelle. Poi tutto prende il via.

"non so chi sei, non so dove sei, non so nemmeno se ci incontreremo mai. Vogliono farci credere che saremo felici solo quando avremo comprato un televisore da cinquanta pollici. Non è vero. Se un giorno saremo felici, veramente, sarà per tutt'altro motivo". E ho continuato, raccontando un sacco di cose che non raccontavo più a nessuno da un sacco di tempo.....qualche cosa bella, molte cose brutte. Alla fine mi sentivo veramente molto meglio.   

La storia è finita qui ? E i dei due tipi con la macchina? Quello che ti sta davanti e ti gira sempre senza mettere la freccia e quello dietro che ti suona sempre con il clacson ? Che fine hanno fatto. Dove saranno andati a finire i due tipi con la macchina. Non lo so, difficile dirlo, anche la sera dopo, quando sono uscito dal lavoro, nel serpentone del traffico avevo sempre una macchina dietro e una davanti. Chissà se erano sempre loro, anche se effettivamente mi sembrava di averli proprio riconosciuti. Poi il tipo davanti ha messo la freccia prima di svoltare. No, non è possibile. A quel punto ho cercato di intravedere nello specchietto retrovisore, come a volte si fa, il volto della persona alla guida nel veicolo che mi seguiva. Non lo so, non ne sono sicuro, aveva si la faccia di quello che si attacca al clacson se non scatti al verde come alla partenza del Granpremio di Formula uno, ma allo stesso tempo uno sguardo sognante e distratto, non saprei definirlo, diciamo la faccia di chi pensa ad una cosa buona.

E qui, forse, ho capito, la lettera della sera prima non era una lettera. Era un volantino pubblicitario che come gli altri è stato messo nella cassetta della posta di tutti. Solo che, questa volta, pubblicizzava tutte quelle cose che abbiamo dimenticato tra l' acquisto di un televisore e l'altro. 

 

 

 
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versione rappresentata a Spoleto

Post n°323 pubblicato il 06 Agosto 2012 da max_6_66
Foto di max_6_66

La torre di babele

Una sagra a dicembre. Beh, oramai sono proliferate superando ogni limite. Però non pensavo che con questo freddo qualcuno si sarebbe dato da fare intorno ai fornelli e alle griglie per riunire della gente sotto qualche tendone piazzato in un campo sportivo di periferia. Probabilmente uno di quei manifesti attaccati ai semafori e agli incroci la stavano già reclamizzando senza che ci avessi fatto caso. Magari per colpa della pioggia, che nel frattempo ha scolorito le scritte fatte con un pennarello non indelebile alle intemperie.

Ora che ci penso, non è sempre stato così. Di sagre ce ne sono sempre state moltis-sime, in tutti i periodi dell'anno. Sono le feste politiche e di partito che sono diventate piuttosto rare. Quelle piccole, di quartiere, di paese, dove la politica aveva facce che non vedevi in televisione. Forse, alla fine, la differenza con le sagre paesane era semplicemente rappresentata della presenza di bandiere colorate e di qualche dibattito. Mangiare, passare del tempo insieme, parlare, ridere e scherzare, bevendo il vino che costa poco ma si lascia bere, se la politica fosse una cosa del genere non sarebbe poi così male. Quando è stata inventata questa parola, è stato fatto per descrivere qualcosa che poteva essere simile a questo ? Gli abitanti di un paese in cima a una collina che si trovano tutti insieme, alcuni per organizzare i turni davanti alla griglia, altri per andare con la famiglia a mangiare un po' di costolette di maiale bruciacchiate. Sicuramente, chi l'ha pronunciata per la prima volta non pensava a quello che si vede durante i telegiornali e che viene chiamato con lo stesso nome, perché a quei tempi la televisione non esisteva.

Mentre osservo i faretti che illuminano l'entrata di questa sagra invernale, passo oltre e decido di parcheggiare circa cinquecento metri davanti a me. Scelgo di proposito il posto dove parcheggia uno che doveva fermarsi lì per gli affari suoi, ma che vede quelle lucine lontane e si affaccia, giusto per curiosità. Piove un'acqua fine, che senti di non aver bisogno dell'ombrello, ma in realtà ti bagna come un temporale, anzi, più profondamente. Le gocce grandi rimbalzano sulla pelle. Questi spilli d'acqua riescono come a penetrare nei pori, portando il freddo e l'umidità fino al contatto con le ossa. Guadagno l'entrata con passo svelto e rimango stupito dal fatto che effettivamente c'è gente. Stanno addirittura facendo una gara di tiro alla fune.

Mi trovo immediatamente davanti a uno dei due gruppi di persone aggrappato a quella corda. La gara deve essere iniziata da un po' e sicuramente sono tutti caduti molte volte, per rialzarsi immediatamente e ricominciare a tirare, giusto il tempo di sputare il fango infilato in bocca. Quando la corda ti brucia le mani o lo strappo ti prende di sorpresa e cadi, ti scappa sempre un grido di dolore. Cadi a faccia a terra mentre gridi e ti si riempie la bocca di fango. Altra cosa curiosa e che sono tutti vestiti di bianco. Si, certo, arrivati a questo punto è difficile capire che questo fosse il colore dei loro vestiti prima di iniziare la gara, ma da qualche risvolto, da qualche colletto, ancora si riesce a distinguerlo. Con un po' di attenzione si riesce a notare, con una certa sicurezza, il fatto che tutti abbiano fatto questa scelta inopportuna. Probabilmente sono i colori della squadra o qualcosa del genere. La gara è nel vivo.

Quelli appena rialzati, dopo aver sputato, riprendono a tirare con maggior vigore e nello stesso tempo a inveire con rabbia maggiore contro gli avversari, lontanissimi. La corda infatti è talmente lunga che si intravede a malapena il gruppo che tira dall'altro capo della corda.

Gli spettatori invece sono tutti seduti su una tribunetta coperta, pochi uomini e donne, tutti ben vestiti, chiacchierano a bassa voce, quasi bisbigliando, poco interessati a ciò che avviene davanti a loro se non nel momento che qualcuno perde la presa e cade, o che una delle due fazioni sembra per un attimo prevalere, prima che un attimo dopo ritorni la parità. Sono tutti vestiti di scuro, anzi, proprio di nero, lucido perfetto, con una apparente raffinatezza che contrasta in modo fastidioso con il modo di mangiare che hanno. Perché quelli in tribuna mangiano. Si godono lo spettacolo mangiando in modo molto rumoroso delle cosce di pollo che prendono da grandi vassoi appoggiati per terra. Addirittura contendendosi i pezzi più grandi emettendo un sottile ringhio, che si trasforma immediatamente uno strano sorriso di circostanza appena terminata la contesa.

Mi alzo il bavero del cappotto, e mi incammino verso il capo opposto della fune, spinto dalla curiosità di vedere l'altra squadra, cercando di scansare pozzanghere sicuramente più profonde dell'altezza delle mie scarpe.

Dopo circa trecento metri inizio ad intravedere nitidamente la forma dei loro corpi. Niente di diverso dagli altri, vene gonfie sul collo per lo sforzo, tirano, imprecano contro gli avversari, cadono nel fango, sputano, si rialzano. E sotto il fango che li ricopre, si intravedono gli stessi vestiti Bianchi. Come dall'altro capo ci sono anche donne, vecchi, bambini piccoli. Mi soffermo a guardarne uno, il più piccolo di tutti, stupito dal fatto che sia stato coinvolto in una cosa così truce, sotto la pioggia, d'inverno. Ha uno straccio legato intorno al capo, una bandana, assolutamente simile a quella di un bambino visto dalla parte opposta della fune.

Anche la signora con grembiule da massaia, quella che urla parole irripetibili a persone di cui non vedrebbe il volto con un cannocchiale, anche lei, si, dall'altra parte ce n'era una con lo stesso grembiule. Anche quello con un braccio solo, che dalle vene sul collo si vede che tira per due, anche dall'altra parte, si, probabilmente per pareggiare, un fatto di sportività, arretro, in principio a piccoli passi, fino a che giunto vicino all'uscita mi volto e corro, un improvviso dolore, una bruciatura alle mani, le metto in tasca e continuo a correre, scomposto.

Sono arrivato all'auto, esito, le chiavi sono nella parte interna del giaccone. Piove, sono costretto a farlo. Sfilo le mani dalle tasche dei pantaloni sporche di fango e sanguinanti, le osservo fino a che non riesco a usarne una per cercare le chiavi.
In realtà non sono riuscito ad entrare in auto e scappare, ho sentito il bisogno di fare qualche passo a piedi, per calmarmi, per pensare. Osservo la gente che mi supera con passo svelto, o quella che mi viene incontro guardando verso il basso. Cerco le loro mani, per curiosità, sperando di trovare condivisione, o forse compassione, ma le tengono tutti in modo che non sia visibile il palmo. Mi ritrovo davanti alla vetrina di un negozio di elettrodomestici, mentre da una parete di televisioni, tutte sintonizzate sullo stesso canale, va in onda tutta una serie di spot pubblicitari di guanti griffati, e tutti con le iniziali dei vari stilisti ben visibili.

 

 
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il regalone di compleanno

 

Un bambino

Post n°321 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da max_6_66
Foto di max_6_66

-Un bambino, un bambino piccolo, era seduto qui al tavolo vicino a me prima che mi alzassi per andare in bagno- Mi guardano fissi, straniti, senza dire niente, si guardano tra loro, ricominciano a parlare. Mi dirigo verso il cameriere, seduto vicino al bancone con il mento appoggiato alla mano, assorto mentre guarda alternativamente fuori dalla finestra e l'orologio al polso dell'altra mano, ma anche lui scuote il capo, addirittura prima ancora che abbia terminato la mia domanda -Non è possibile che si sia alzato e che se ne sia andato, così, da solo- Mi dirigo verso l'uscita correndo. Appena fuori dalla porta guardo a destra e sinistra, lungo il marciapiede, ma capisco ben presto che in mezzo a tutta questa gente alta, che ingombra la vista con la propria figura ingrandita da cappotti, borse, ombrelli, cappelli, telefoni cellulari, non è possibile vedere un bambino. Faccio un passo verso destra, no, torno indietro verso sinistra, mi gratto la testa, immobile. Da che parte vado a cercarlo ? Non posso perdere tempo, vado verso destra e inizio a correre urtando i passanti. Farò il giro dell'isolato, così anche nel caso che fosse andato dall'altra parte, faccio comunque in tempo a incrociarlo. Mi ritrovo dopo un istante davanti al bar, ma del bambino nessuna traccia.

Com'è possibile che sia sparito, scomparso. Ci ho messo così tanti anni a ritrovarlo, e adesso, mentre stavamo insieme al tavolino di un bar, aspettavamo che ci portassero un'aranciata, appena il tempo di assentarmi un attimo per una necessità, ritorno, e non c'è più. Come posso aver fatto una cazzata del genere. Si, ho fatto una cazzata, una cazzata stratosferica. Forse dovrei andare alla polizia, ma cosa gli racconto, da dove comincio. No, non posso raccontargli questa storia, mi farebbero rinchiudere, devo risolvere tutto per conto mio, devo ritrovarlo da solo e non posso chiedere l'aiuto di nessuno. Nessuno può aiutarmi perché nessuno può credermi.

Devo pensare, dove può essere andato un bambino, da solo. Sicuramente dove ci sono dei giochi, o degli animali, qualcosa di bello per un bambino, no, non l'hanno sicuramente rapito, non è stato portato via da qualcuno, è lui che ha deciso di andarsene, colpa mia, stavamo seduti vicino, aspettando la nostra aranciata, mi sono messo a parlare al telefono. E dopo la prima telefonata ha squillato di nuovo, e poi ancora. Se n' è andato, ne sono sicuro, i bambini si annoiano terribilmente quando sono con un adulto che parla continuamente al cellulare, anzi, soffrono, soffrono terribilmente, si sentono esclusi. E un bambino che si sente escluso, se ne va. La infondo c'è un giardino, un piccolo parco giochi con le altalene, il girotondo, un tunnel di cemento per nascondersi e una scaletta di corda per salire su un albero.

Non è possibile che sia qui, i giochi sono tutti in rovina, pieni di ruggine e scrostati, non vedono un bambino da chissà quanti anni. Mi siedo su un muricciolo con la testa tra le mani, alla ricerca disperata di un'idea, di un indizio.

-Certo, questi giardinetti non sono proprio tenuti benissimo, però io comunque porto sempre il mio bambino qui, a lui piace, vede ?- Tolgo il volto dalle mani, alzo la testa, per accorgermi che nel frattempo una persona si è seduta vicino a me. Il tono della sua voce ha un qualcosa, non so dire, come di consolatorio. Sento la disposizione alla compassione, forse solo la disponibilità ad ascoltare, qualunque cosa abbia da dire per quanto assurda. Sto quasi per raccontargli la mia storia, quando poi mi viene da guardare davanti a noi, ma non vedo nessun bambino. Cerco i suoi occhi, per capire la direzione a cui è volto il suo sguardo. Sorride, saluta con la mano, ma davanti a lui non c'è nessuno. Mi alzo lentamente, cercando di mascherare il mio terrore, saluto e mi allontano indietreggiando con cautela. Appena girato l'angolo inizio a correre a gambe levate.

Mentre corro a rotta di collo ripasso davanti alla porta del bar, un pensiero, rallento il passo, mi fermo. Non è lui che se ne è andato, che si è perduto. E' così difficile tenerlo vicino a se? E' così difficile non dimenticare i suoi occhi, gli unici che possono aiutarci a vedere le per come sono realmente, attraverso una visione non corrotta e sporcata da falsi miti, vetri resi opachi dallo sporco del fumo delle nostre sigarette. Entro, c'è un'aranciata che mi aspetta.

 

 

 
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il trucco del muretto

Post n°320 pubblicato il 04 Gennaio 2012 da max_6_66
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-La convinzione che le cose succedano da sé- Potevo permettermi di parlare un po' da solo, visto che il camminare sul crinale della collina mi offriva una visuale buona per chilometri, dandomi così la certezza riguardo al fatto che non ci fosse nessuno -E soprattutto che da sole vadano sempre per il meglio- Camminavo alla sinistra di un muretto in pietra, malmesso ma continuo, alto mediamente sui trenta o quaranta centimetri -Che tutto tenda naturalmente e inesorabilmente al bene, addirittura anche nostro malgrado- Non so quando il muretto avesse iniziato ad accompagnare, guidare anzi, la mia passeggiata solitaria, probabilmente appena lasciata la strada del fondovalle e incamminato perpendicolarmente verso la cima, mi ero lasciato proprio guidare da quei sassi soprammessi a secco, cambiando direzione proprio un passo dopo che si intersecavano nella strada, iniziando, o forse terminando esattamente in quel punto la loro funzione di probabile linea di confine tra due proprietà, o chissà cos'altro. In avanti non si intravedeva invece la fine di questa che sembrava la Grande Muraglia di un esercito di Soldatini di piombo, viste le dimensioni molto ridotte rispetto all'originale, di questo serpente che si snodava lungo i crinali delle colline successive. E quel suo procedere verso l'infinito dell'orizzonte iniziava a turbarmi.    

Perché tutto nasceva da una convinzione puerile e priva di ogni logico fondamento, ovvero che il primo giorno dell'anno mi dovessi svegliare, aprire la finestra, e trovarmi davanti, sul cortile davanti casa, qualcosa. Ma non un qualcosa qualsiasi, anche se non so dire o spiegare cosa mi aspettassi in realtà. Il fatto è però che mi ero alzato, avevo aperto la finestra, e non c'era. Anche l'anno appena arrivato sarebbe quindi stato uguale al precedente. Forse peggio, perché il tempo, quando si tratta di una cosa da poco scolorisce fino a cancellarla, ma quando si tratta di una cosa importante acuisce la mancanza, drammatizza. Come se la pelle pian piano si seccasse, si screpolasse, fino ad aprire addirittura ferite dolorose -Non avrei potuto fare semplicemente dei buoni propositi per l'anno nuovo? A quel punto sarebbe stato tutto nelle mie mani- Continuavo a pensare a voce alta.

Il sistema di solito funziona. Si tratta di fare attività fisica in modo abbastanza prolungato, una camminata in collina va benissimo, sia come tempo che come tipo di sforzo. Dopo la prima mezz'ora iniziano a liberarsi endorfine e l'umore magicamente cambia; paranoie, stress, depressione, tutto il veleno che c'è dentro è come se si trasformasse in sudore e se ne uscisse fuori attraverso i pori della pelle. Una doccia bollente appena rientri in casa fa il lavoro finale. Chiudi gli occhi mentre l'acqua ti scorre sulle spalle pensando che sta lavando gli ultimi residui rimasti. Ecco perché subito dopo aver aperto la finestra e guardato in cortile avevo deciso di venire a fare questa camminata. Fino a quel momento però, forse anche a causa di quell'inquietante muretto, gli effetti benefici di questo trucco non riuscivo a sentirli.

Si trattava proprio di un confine. Davanti a me iniziava un campo coltivato. Non so quanto tempo sono rimasto immobile, come se un ostacolo insormontabile mi impedisse di proseguire. Certo, non era mia intenzione pesticciare i solchi con al loro interno il seme addormentato, ma rimanere immobile in quel modo, come alla fine di un vicolo cieco, rappresentava comunque qualcosa di irrazionale. Fatto sta che c'è voluta l'aria fresca del pomeriggio per svegliarmi dal torpore, per ritrovare la capacità di muovere la testa intorno a me e capire che la prigione dove credevo di essere finito non aveva in realtà pareti. Un saltello per superare il muretto e trovarmi dalla parte destra, dove avrei potuto continuare a camminare agevolmente.

Sono molti i trucchi che possiamo usare, e molti sono quelli che la vita usa con noi. Bene e  male. Non è difficile trasformare in esperienza ciò che ci capita di negativo, così come allo stesso tempo si cade nell'errore di non vedere ciò che di positivo c'è, o di darlo per scontato. Il trucco è quello di guidare la prospettiva, invece di subirla. Certo, sono trucchi, non cambiano la sostanza delle cose, e difficilmente quando inciampi e cadi sbattendo la faccia per terra, ti trovi davanti agli occhi quei cinquanta euro che altrimenti non avresti visto.

-Cambiare prospettiva- il mio ultimo pensiero ad alta voce, mentre continuavo la mia passeggiata in direzione del tramonto, con un compagno fedele in pietra alla mia sinistra che di tanto in tanto potevo accarezzare sulla schiena allungando la mano.

 

 

 
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