Odiare…

A Reflection on Chess – Cee's Black & White Photo Challenge: Mirror Images  or Reflections – iball round the world

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Odiare e temere la vita è normale per gli umani. Abbiamo creato società e culture che ci proteggono e ci proteggono. Sono state progettate tecnologie che ci allontanano dalla parte animale del nostro essere. Ma non ci siamo liberati del nostro stesso corpo, della nostra carne instabile e della nostra mente turbolenta, il prodotto di reazioni chimiche che ancora non comprendiamo. Non abbiamo bandito dalla realtà umana la regione selvaggia della natura e dell’istinto, che traduciamo in forma di emozioni.

Il tempo passa, diventiamo un fragile catamarano, sferzato dal vento dell’oceano. Le situazioni accadono e la nostra mente è colpita ripetutamente da eventi al di fuori del nostro controllo e che il nostro cervello decodifica attraverso una reazione biologica chiamata sofferenza. Il tradimento di una persona cara, l’inferno dell’impotenza nelle questioni di cuore. Gelosia selvaggia e giustificata, umiliazione sentimentale o il terribile peso della colpa. Anche la paura del trascorrere dei giorni, della vecchiaia e della morte, della potenziale violenza, della perdita dei nostri o dei beni materiali. Paura della malattia, della rottura, del ridicolo. Tutti questi messaggi provenienti dall’ambiente, a noi estraneo, improvvisi ed enormi, incommensurabili; messaggi che ci arrivano criptati e che il nostro cervello rivela sotto forma di dolore, assimilato da quello spazio indeterminato delle emozioni, che non è né carne né etere. Forse impulsi elettrici fisici, forse effervescenze chimiche, forse movimenti spirituali mistici. Qualunque cosa sia, la sperimentiamo come una tortura.

Un impatto ancora maggiore ci provoca, se possibile, la memoria. La vita è fatta di un lungo vuoto, un vuoto di routine e sopportabile normalità; momenti puntuali di sofferenza e felicità punteggiano questa monotonia. Entrambi hanno la loro spiegazione animale. Il gatto impara a non avvicinarsi all’acqua, perché gli fa schifo e gli mette a disagio, sensazioni fittizie che il suo cervello ha creato per tenerlo lontano dal pericolo di annegamento accidentale. Così la nostra materia grigia ci alimenta con violenti contraccolpi che attribuiamo al cuore, proteggendoci da ogni tipo di rischio. Anche i momenti di gioia hanno il loro significato: piccole caramelle che ci incoraggiano ad andare avanti, anche se conosciamo in fondo la verità della vita, la sua futilità, le sue sciocchezze, la sua assurdità.

Ed è a questo che servono i ricordi. Quelli buoni, per tenerci in piedi. Una tazza di riso, quanto basta per non perdersi d’animo e continuare il lavoro. La tenerezza di una notte di coccole, l’eccitazione di una scopata selvaggia, la fratellanza di una risata tra amici… Il ricordo della felicità passata ci spinge, attraverso il desiderio della sua ripetizione, a cercarla di nuovo e ad adempiere così alle funzioni della nostra esistenza: relazione e riproduzione.

Ma ah, amico, non dimentichiamo i brutti ricordi. Un momento di agonia sotto forma di baci crudeli testimoniati, la rottura con la persona amata, la perdita di quella dea, puttana indimenticabile, l’immagine di uno schiaffo, una lite o un’ubriachezza maltrattata, l’incidente stradale, la morte che a tutti ci sta aspettando e che ha già raggiunto un caro amico…

Brutti ricordi. Brutti ricordi che si mescolano e formano una sostanza pastosa. Colpa e vergogna, soprattutto. Temi il resto. Tutti loro si sono uniti per creare una cosa: l’odio. Odio se stessi e l’aria che ci tiene in vita, quando in realtà vogliamo solo fare quello per cui siamo nati: morire.

 

 

 

 

 

 

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Odiare…ultima modifica: 2021-09-10T11:22:23+02:00da LiberaDivinaCreatura
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