Creato da fading_of_the_day il 17/11/2010

Fading of the day

....as night takes over

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« Lady WriterDistant Sun »

Arctic Cries

Post n°33 pubblicato il 30 Marzo 2011 da fading_of_the_day
 


Passava lenta la nave del pianto, sommersa  dalle nebbie dei mattini boreali e dai silenzi dei ghiacci artici. Procedeva lenta e circospetta per guadagnare dignità e non turbare la stasi degli equilibri di un paesaggio irreale, epico, scolpito con colori cangianti e pennellate evasive.

Passava lenta la nave del pianto, attraverso un quadro solo apparentemente desolato e lunare, il cui silenzio era rotto dal sibilo del vento che si incalanava negli anfratti dei ghiacci, nelle crepe della terra, nei vuoti lasciati dai graffi delle assenze.

Il bianco ed il freddo simboleggiavano il trionfo dell'inverno sull'estate, seppellivano cuori e sogni, baci e respiri.
Il bianco ed il freddo erano le uniche cose di cui l'inverno, dall'alto della sua rigida indifferenza, potesse veramente andare fiero.

Lui, solitario passeggero di quella nave, immobile sul ponte battuto da venti gelidi, scorgeva stanco ed accigliato la linea lontana dell'orizzonte che si perdeva nell'anonimità dell'oceano. E rifletteva.
Turbe di ciocche bionde vorticavano attorno alla sua testa come pollini a primavera.


La gelosia, la gioia per le altrui disgrazie, l'invidia, a volte sono frutto di un animo meschino.
Ancor più spesso sono figlie legittime della paura dell'abbandono.


L'amore mescola.
Il sangue si incontra con il cervello.

Ma il cremisi, spesso, lascia il posto allo smorto rossore del bucato di famiglia.
Quello ormai stinto dagli errori.

Perchè gli uomini piangono?

Perchè non sanno se essere felici o tristi, combattivi o rassegnati.

Perchè non riescono ad addormentarsi la sera e perchè non sanno che pesci prendere quando si svegliano al mattino.

Gli uomini piangono di notte perchè è più facile convincersi che "Non è niente, passerà. Non è niente" e girarsi dall'altra parte scoprendo la sterilità delle lenzuola che odorano di detersivo.

Le lacrime vengono di notte.
L'alba si ciba di pensieri.

Il sole picchiettava contro la grigia serranda della finestra, come se chiedesse il permesso di poter disperdere nella stanza i propri raggi. Lui aprì l'occhio sinistro, visto che il destro affondava ancora nel cuscino. In principio pensò che fosse troppo presto per mettersi a riannodare i fili che pendevano dai brandelli della sua anima e così rimise a riposo il valoroso scudiero. Passarono alcuni lenti minuti di stasi non onirica, in cui sfere di gomma impazzite gli rimbalzavano dentro senza sosta. Infastidito da cotanta inopportuna dinamicità, raccolse le forze, e si convinse che, forse, era giunta l'ora per tracciare una corpulenta linea rossa.

Si alzò di scatto, ruotando i piedi verso il lato destro del letto.
Puntò come due spilli i pugni sul materasso ed inarcò la schiena con la falsa urgenza del ciclista.
Le gambe si distesero, accompagnate da un largo respiro di sollievo. Le spalle bianche e contratte, tuttavia, non ne volevano sapere di lasciar uscire fuori il blu del suo umore.

Gli sembrava ancora di sentirla, la sua voce.
Era ancora lì, presente e nitida, sensuale e voluttuosa, a metà tra il roco ed il sussurrato.
Accarezzava i muri freddi ed i timpani sfranti.
Come il canto di una sirena, quella voce lo aveva attratto e costretto ad attraccare al suo lascivo scoglio. Ma a ben riflettere, la cosa che più lo aveva spaventato non era il suo canto, ma bensì il suo silenzio. Ciò che aveva temuto di più era quella sensazione volatile ed effimera di averla, finalmente, catturata e conquistata. Perchè si era rivelata solo una sbiadita illusione, un melodico inganno.

Capo chino e mento spinto sullo sterno provava a venir fuori dalle sabbie bianche del letto sfatto. A poco più di mezzo metro da lui, il comodino prese a fremere impotente al cospetto dell'impeto tecnologico. Il cellulare vibrava e con esso iniziarono a farlo i suoi sensi.

Con la macchinosità propria dell'ultimo sforzo del maratoneta, si allungò con la schiena, protendendo con un complicato slancio le dita della mano. Il suo volto cambiò espressione con camaleontica precisione. Era lei che si affacciava oltre lo schermo del telefono, opulento di luci e colori.

Non un caschetto biondo, come il fervore del comodino sembrava suggerirgli.
Era una folta criniera castana quella che oltrepassava i limiti digitali del vetro. Lunghi capelli fuoriuscivano e lo inghiottivano, viso e occhi, mani e piedi come tentacolari serpi di Medusa

Anche attraverso la cornetta Alessia riusciva sbattere le palpebre e bisbigliare, sorridere ed annuire da vera professionista. Come sempre, era pronta a prestare soccorso da servizievole crocerossina titolata, tempestiva ed offuscata figura vestita di bianco che galleggia sull'asfalto bagnato, segnato da sangue e pneumatici. Sempre disponibile ad inginocchiarsi amorevole al cospetto del moribondo, ad asciugare lacrime e disinfettare ferite con il sorriso della zia comprensiva che non biasima.

In fatto di uomini, Alessia aveva affinato
negli anni una tecnica invidiabile.
Come una perfetta dea della respirazione bocca a bocca, si accostava furtiva al capezzale del malcapitato, ondeggiava le ciglia, inumidiva la bocca e, con fare a metà tra la madre e la puttana, assestava il bacio di Giuda, divaricando le labbra quel tanto che bastava per colpire definitivamente la sua preda. Quel tanto che serviva per accoglierla, infida, tra le sue spire.

La salvatrice aveva tutte le intenzioni di portare a compimento il suo piano.
I cuscinetti sotto le sue zampe da gatta bianca non ne avevano fatto percepire i passi. e, quando la povera vittima si era resa conto del pericolo, ormai era troppo tardi. Ondeggiando come una biscia d'acqua sul pelo del lago, si era insinuata, nuovamente, nella sua vita, silenziosa e letale, fiera dell'efficacia del suo veleno e del suo sesso. Nonostante fosse da poco mattina, aveva già indosso il profumo costoso ed i tacchi alti del sabato sera, preludio alle sue bellicose intenzioni.

Sarebbe tornata di lì a poco in punta di piedi, con la sua pregiata presenza, questa volta portando con sè anche tutto il suo campionario lussuoso da venditrice di sogni. I cassetti sarebbero stati invasi da luccicanti e vanitose stoffe, i muri avrebbero accolto gli echi dei suoi passi, gli specchi avrebbero trasmesso i backstage delle sue sfilate. Tutto secondo i piani. Tutto come da manuale della perfetta incantatrice di uomini.


-Tesoro che hai fatto? Come stai?
Passo da te più tardi....



Spostata di un miglio verso oriente, la nave del pianto lasciava i ghiacci ed intravvedeva grigie scogliere su cui si arrampicavano gotiche guglie scure, che salivano complicate e frettolose verso la luna fosca. La notte guardava malinconica le lacrime che scivolavano giù dai vetri decorati, freddi e pazienti e sapeva che, di lì a poco, sarebbe stata spinta via di nuovo nel suo giaciglio.

L'alba era ancora lì, spavalda ed invadente, pronta a dipingere volti e parole, sguardi e sussurri con colori che la notte non poteva permettersi.

 
 
 
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