Creato da fading_of_the_day il 17/11/2010

Fading of the day

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Por La Carretera

Post n°40 pubblicato il 05 Maggio 2011 da fading_of_the_day
 

 

Il caracollante e chiassoso bus ciondolava colorato e musicale verso sud-est.
Aveva da poco lasciato la tentacolare morsa di Città Del Messico con destinazione Veracruz.
Da li poi sarebbe stata la volta di Ciudad del Carmen e di quel paradiso di mare e storia chiamato Yucatan.

L'aria stagnante di quel torrido catino con quattordici milioni di abitanti le aveva fatto rimpiangere la frescura che in quello stesso momento avrebbe potuto godere al di sotto dell'equatore, nell'emisfero australe. Ma tanto sudore era valso a qualcosa. Negli occhi aveva ancora lo splendore delle rovine di Teotihuacan, con le sue monumentali piramidi del Sole e della Luna. Aveva scattato un centinaio di foto ed almeno altrettante attendevano, ora, le meraviglie di Chitchen Itza.

La lingua d'asfalto saliva nervosa seguendo il perimetro degli altipiani, affiancata, di tanto in tanto, da qualche traliccio dell'alta tensione, per poi riscendere brusca, netta, e tuffarsi in un mare di polvere e sassi roventi. Emma guardava quasi con distacco quel paesaggio rurale, come se fosse internamente svuotata, appagata dal tanto vagare dei giorni precedenti. Lavoro e piacere si erano alternati come la doppia faccia di una medaglia, che da un lato ti dà e dall'altro ti leva.

Il pittoresco vociare che proveniva dai posti in fondo - invero meno chiassoso del previsto - la manteneva in uno stato di semicoscienza, in cui si alternavano breve fasi di sonno e di veglia. Durante queste ultime, affossata nello sgangherato sedile di gomma piuma in finta pelle nera, squadrava gli altri passeggeri con femminile curiosità. Si poteva ammirare un variegato campionario di rappresentanti della razza umana, nel quale spiccavano due figure preminenti. C'era il turista americano con bermuda, camicia a maniche corte ed armamentario tecnologico, fatto di smartphone e fotocamere, alloggiata nel consueto zainetto milletasche che aveva il vago sapore della dotazione standard di un soldato al fronte. Poi c'era il messicano autoctono, viso a metà tra il sornione e l'assorto nei mille pensieri su come sbarcare il quotidiano lunario, che, di sott'occhio, osservava il succitato yankee, non nascondendo un'espressione di compiaciuta compassione per l'attenzione profusa nella vacuità di quelle robotiche e ripetitive azioni.

Ad intervalli quasi regolari, gettava un occhio al cellulare, ma l'inattività dello stesso finiva, di volta in volta, per deluderla. Così decise di iniziare a giocherellarci e a sfogliare le ultime foto scattate, piacevolmente sorpresa dalla qualità della risoluzione.

Ad un tratto l'immobilità sovietica del telefono ebbe un sussulto quasi rivoluzionario nella sua imprevedibilità.
Era Sophie.

"Ehilà, tutto bene in America Latina?"

Quel messaggio le portò la mente l'ultima volta che si erano viste a quel ricevimento a Sydney. Dritti i suoi pensieri approdarono a Luca in un repentino salto mentale non preventivato che la rese inquieta. Aveva bene impresse in mente le parole di Sophie, parole che le avevano suggerito, nemmeno tanto velatamente, di rivedere le sue scelte in fatto di uomini. Ora quella conversazione le sembrava distante, percepiva il sapore lontano di spezie orientali, la consistenza di qualcosa che, sul momento, era riuscita ad intrigarla, ma che ora non le evitava di essere meglio disposta verso pietanze più familiari.

Emma viveva in una bolla di sentimenti contrastanti.

Il matrimonio era alle porte e un parte di lei sentiva che una sottile campana di vetro tentava di isolarla da certi pensieri, provava a renderla immune dall'abbandonarsi all'ebbrezza del fiume di pensieri, sul quale galleggiava immobile e malinconica la chiatta delle scelte mancate.

Nonostante i freni che rallentavano una parte di lei, avvertì l'irrefrenabile impulso di rispondere a Sophie rievocando quel preciso frangente. Sentì un'istantanea esigenza di aprirsi con la sua amica.

Il sesto senso le suggerì che lo spazio di un sms non era sufficiente e, così, optò per una mail di ampio respiro.


"Ciao Sophie,
qui tutto bene, sono un po' stanca ma il
tour è stato soddisfacente: il pubblico ha risposto positivamente ai nostri pezzi. Ho trovato anche il tempo per fare la "turista", ho ammirato i resti di bellissime città Azteche e Maya. Al mio ritorno sarai "tormentata" da centinaia di foto....

Sai, in questi giorni mi è capitato di ripensare all'ultima volta che ci siamo viste e a quello che mi hai detto. Non chiedermi nè il "come" nè il "perchè" ma penso a lui molto spesso. E con "lui" non intendo Markus, il mio futuro marito, ma Luca, il ragazzo di cui ti ho parlato. Anche qui in Messico, mentre ero in giro e facevo foto pensavo a quanto sarebbe piaciuto anche a lui fare questo
tour archeologico.

Sai Sophie, sento la necessità di aprirmi un po' con te e vorrei almeno accennarti qualcosa ora, per poi parlarti a quattr'occhi. So che quello che stai per leggere apparirà ai tuoi occhi come...."



Uno stridio sibilante, uno strascichio metallico di ingranaggi poco lubrificati annunciava che il bus era giunto a Veracruz.

Emma si affrettò a salvare la sua mail.

 
 
 
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