Fading of the day

53

Sin da quando avevo messo piede ad Edimburgo mi ero invaghito del Clark's.

C'era una cosa che noi nordamericani con la nostra economia florida e rampante non avremmo mai potuto comprare: la manifattura britannica. Che si trattasse di Aston Martin o di abiti sartoriali, la superiorità dei "cugini" era il frutto di secoli di perfezionamento continuo. L'unica cosa da fare era togliersi il cappello e chinare la testa in segno di rispetto.

Il Clark's esisteva da un secolo e mezzo e chissà quanti rispettabili uomini d'affari, aristocratici o ricco-borghesi avessero prestato i loro corpi alle precisissime misurazioni della famiglia di sarti, che rifiniva eleganti abiti da sei generazioni. Eravamo passati davanti a quelle vetrine una miriade di volte durante le nostre lunghe passeggiate per il centro città, tanto che Elisa si era follemente innamorata di un abito da sposa. Quando mi fece la proposta a cena, annotai mentalmente che quello sarebbe stato il suo regalo di nozze.

Gli ultimi giorni erano trascorsi un po' apatici, e così,  dopo l'ennesima telefonata di Mr.Stanford, fors'anche per vincere la noia mattutina, avevo ceduto alle sue avance. Con un po' di scetticismo iniziai la stesura di quella sorta di autobiografia romanzata che doveva trarre spunto dalla storia che stavamo vivendo. Non ero molto convinto del progetto perchè mi infastidiva mettere su piazza le mie cose private, ma Elisa era d'accordo e, così, avevo acconsentito.

Avevo già scritto alcuni capitoli e, tuttosommato, ero soddisfatto: avevo ricevuto riscontri positivi dall'entourage di Mr.Stanford. Lui era su di giri e voleva accelerare quanto possibile la stesura: mi propose il supporto del suo team di ghost-writer che avrebbe fatto i salti mortali per aiutarmi. Io ringraziai ma rifiutai l'offerta: era un'eventualità che mi aveva sempre inorridito. Avevo fatto sempre affidamento su me stesso e, ora, potevo anche contare su Elisa che era entusiasta di fare le revisoni.

Quella mattina, dopo aver svolto un'intesa sessione di scrittura, decisi di uscire a prendere un po' d'aria. Passai di fronte al Clark's e vidi un bellissimo tight. Si tattava di un classico modello con giacca nera ad un solo bottone e pantaloni grigio antracite gessati, mentre la camicia era bianca con gemelli. Lo vidi e fu un colpo di fulmine. Già immaginavo un delizioso garofano bianco che faceva capolino dal taschino.

La commessa che mi accolse era una deliziosa ragazza sui venticinque, occhi verdi e accento elegantemente londinese. Appena mi vide le ci vollero pochi secondi per focalizzare chi fossi. Dopo le misurazioni di rito pagai il mio completo e lasciai un cospicuo acconto per l'abito di Elisa, lasciando detto che sarebbe passata in settimana a provarlo. Chiesi, con garbo, alla commessa di mantenere il più stretto riserbo circa la mia visita: non volevo si creasse l'ennessimo polverone su me ed Elisa. Di problemi già ne avevamo tanti...

Raggiante uscii dal negozio, indeciso se dare la notizia ad Elisa o aspettare ed organizzarle una sorpresa. Squillò il telefono e pensai si trattasse di telepatia: la mia bella mi cercava. Mi preparai al tono più gioioso che potessi farmi uscire di bocca. Ma Elisa mi inondò con una voce terrorizzata e singhiozzante: si trattava di Liz: si stava recando a lavoro ed era stata investita mentre attraversava la strada. Al momento c'erano notizie frammentarie circa le sue condizioni e mi disse, solo, che al pub si stavano organizzando per andare a trovarla in ospedale.