Fading of the day

Night Divers

-Forse un giorno... Un giorno ci riusciremo

E i tuoi occhi si sgranarono sull'immensa distesa di ottone e cristallo che era il lago la domenica pomeriggio, al morir del sole.

-Se quel giorno arrivasse, vorrei che fosse l'ultimo, aggiungesti con quel filo sottile che ti usciva dalla gola

Poi ti avvicinasti allungando le mani verso il mio petto, crateri di idrogeno che ribollivano. Apristi le labbra e mi baciasti. Mentre succhiavi l'ultimo spicchio di mela dalla mia bocca, mi sorridesti.

-Che c'è cavaliere? Che fine hanno fatto le tue armi?

Ed io non seppi risponderti.


Martin alzò lo sguardo dal foglio non nascondendo la propria soddisfazione. Quello ch eaveva appena scritto gli piaceva.

Lanciò una rapida occhiata fuori dalla finestra. Solo il silenzio ed il buio della notte, soffici ali di cigno su cui si adagiavano i suoi pensieri inchiostrati alla luce dello scrittoio in mogano.

Si stiracchiò: prima un braccio e poi un altro. Sbadigliando emise un lamento come un cucciolo di fiera che ha troppo sonno per riuscire ad addormentarsi senza il conforto del calore materno.
Ma lui non poteva lasciarsi ancora sedurre da nessuna sirena, almeno per altre 3 ore. Almeno finchè il suo turno di notte non si fosse concluso.

Già, il turno di notte.

Trascorrevano sempre lenti, la maggiorparte delle volte senza nulla da fare se non sparute consegne di chiavi o inconsueti check-in. In genere era così.

Ma non quella notte.

Il tizio della 407 gli aveva chiesto espressamente di essere svegliato alle 3 e 25. Proprio così: 3 e 25, nè un minuto prima nè uno dopo. La cosa un po' gli era suonata strana, visto che non doveva partire (dal registro degli ospiti poteva dedurre che si sarebbe trattenuto ancora quattro giorni). Tutto ciò lo aveva incuriosito non poco, ma Martin cercava sempre di mantenere un certo distacco riguardo alle richieste dei clienti, con l'intenzione di rispettare la loro privacy.

-Meglio che vada - mormorò tra sè e sè, buttando l'occhio al grande orologio a muro affisso sopra la porta a vetri della reception.

Il corridoio del quarto piano era semi deserto. Erano occupate solo 5 camere su 20.

Alla 415 c'erano i quattro chiassosi ragazzi inglesi che, dopo essere stati ripresi più di una volta, avevano, finalmente imparato a fare più silenzio. Un paio di stanze più giù, c'era la coppia di anziani coniugi tedeschi, poi le due graziose ragazze francesi della 401 (che avevano ricevuto tentativi falliti di abbordaggio dai quattro inglesi) e, sull'altra sponda del corridoio, un gruppetto di asiatici, che occupanvano la camera prima della tromba delle scale.

Infine c'era "lui". Un tizio dall'aria apparentemente molto rispettabile,  passaporto caandese, che spesso si aggirava nella hall dell'hotel in abiti molto eleganti. Forse era un uomo d'affari, o piuttosto un manager.

Sembrava una persona dall'ottima cultura: leggeva riviste di arredamento e preferiva il Times alll'orda di tabloid sguaiati che venivano disseminati a beneficio dei tanti giovanissimi avidi della "page two" che offriva sempre procaci maggiorate poco vestite. Ma forse a causa dell'atmosfera vacanziera, questi finivano, tuttavia, per degnarli solo di occhiate distratte. tra un sorso di Looza gusto tropicale ed un morso ad improbabili baguette riempite di salame rosa shocking.

-Signor Dupont? E' permesso? La sua sveglia....

Martin attese qualche secondo, tentando di aguzzare l'udito per captare anche il più piccolo movimento nella stanza.

Dopo alcuni istanti, non avvertendo il minimo movimento, appoggiò con delicatezza l'orecchio alla porta.
-Forse è in bagno - pensò tra sè.

Aspettò un'altra decina di secondi e diede un'ulteriore toccata con le nocche, stavolta lievemente più energica.