Creato da fading_of_the_day il 17/11/2010

Fading of the day

....as night takes over

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Erase And Rewind

Post n°47 pubblicato il 26 Maggio 2011 da fading_of_the_day
 


Aveva girato quella scena nella sua mente decine di volte e in ognuna di esse si era soffermato sempre su un particolare diverso, aveva focalizzato il suo agire mentale su un piccolo gesto, una frase, un sorriso, un'espressione del volto. Incosciamente voleva che ogni singolo elemento di quel potenziale incontro fosse perfetto, il collage di tutti quei pezzetti doveva essere l'opera d'arte ultima, il masterpiece supremo.

Era arrivato a studiare qualsiasi variabile pur di assemblare l'incontro perfetto.
Aveva riavvolto il nastro e premuto PLAY un numero imprecisato di volte, rieditando  le scene con Emma, modulandone il contrasto dei colori, miscelandone i suoni, rielaborandone le sequenze.
Ad un solo particolare non aveva mai pensato, forse perchè si trattava di qualcosa di estremamente intimo, di così intenso e personale da fargli provare pudore addirittura verso sè stesso.

Nell'infinito film dei suoi sogni, non aveva mai pensato alla scena in cui dava ad Emma una delle sue poesie.

Quella possibilità si era affacciata, ancora vergine, durante l'ultima breve conversazione telefonica. La lampadina era stata la prima ad accendersi appena si erano delineati i contorni del rendez-vous. Si era trattato di una rivelazione sconvolgente, di un'epifania messianica che lo aveva sconcertato per la naturalezza con cui si era manifestata. Come se quello fosse il solo ed unico scopo di tutta quell'attesa.

Ora aveva poco tempo, Luca.
Doveva fare di necessità virtù e, così, pescò dal mazzo una delle ultime poesie che aveva scritto e la tradusse in un baleno, incrociando le dita come gesto apotropaico per esorcizzare lo spettro di eventuali errori. Ora era pronto.

Gli dei sembravano essere dalla sua parte visto che mancava poco all'uscita, alla timbratura dell'agognato cartellino. Si diresse di corsa verso il parcheggio e, nello scatto, ebbe l'istinto di girarsi indietro. Il "palazzo" non sembrava più tanto grigio, o almeno non più grigio di tanti altri che tormentavano con la loro esuberanza i cieli del quartiere. Inoltre, pareva aver perso quell'aura di pessimismo che ingobbiva goticamente chiunque ne varcasse la soglia.

Durante il tragitto in macchina verso l'aereoporto, provò ad isolare la mente, a privarla dall'influsso di qualsiasi agente esterno. Avrebbe voluto sigillarla in un container a tenuta stagna: non aveva alcuna intenzione di rimettere nuovamente in discussione tutto quello che aveva minuziosamente plasmato durante le ultime settimane.

Mentre si dirigeva verso le porte scorrevoli delle partenze internazionali con incedere ritmato, si sentiva come interiormente svuotato, come se l'aver raggiunto quell'obiettivo lo avesse riversato in uno stato di quiete. Era stato come investito dalla tranquillità del guerriero saggio che, memore di mille battaglie, conosce tutti i trucchi possibili per scacciare oltre la collina lo spettro della morte.

Finalmente era lì. Si erano dati appuntamento in uno dei tanti bar.
Varcata la soglia, fu investito dalle luci scintillanti delle boutique e dal ronzare dei passeggeri.

La cercò con lo sguardo nello sciame di locali che rendono le attese negli aereoporti non tanto differenti da una passeggiata in centro. Alla sua vista, fu colto come da un blocco da sovraccarico di sistema. Fu uno smarrimento che denunciava l'affiorare di una sopita disarmonia dei suoi equilibri interni.

Riconquistata una certa compostezza interiore, si fermò in una posizione in cui poteva vedere ma non essere visto. Ed iniziò ad ammirarla.
Emma indossava una longuette chiara con un ampio disegno sul davanti che, da quella distanza, non era in grado di decifrare ed un paio jeans scuri aderenti. Si trovava adagiata su una delle poltroncine nere del bar, assorta nella lettura di un libro dalla copertina apparentemente seria.
Benedisse il fatto di essere arrivato in anticipo: poteva gustarsi l'attesa come meglio credeva.

Ogni tanto Emma alzava lo sguardo e compiva semicerchi con la testa, per vedere se lui fosse arrivato. La frangia danzava senza gravità nell'aria come nugolo di bianchi pollini elevati dal tepore primaverile. Dopo qualche minuto ruppe gli indugi:  decise che di quella distanza ne aveva abbastanza. Scrollò il volto assorto nella visione di lei e si diresse verso il tavolo, disegnando una traiettoria che gli permettesse di avvicinarsi nell'anonimato.

Non appena la ebbe a tiro, le coprì infantilmente gli occhi con i palmi delle mani. Per un decimo di secondo fu preda della tentazione di baciarla sulla bocca, ma l'angioletto che gli si era prontamente appollaiato sulla spalla, con un pat-pat di rimprovero lo esortò a comportarsi da gentleman.
Risolse il conflitto adagiandole un casto bacio sulla guancia di pesca.


"Luca!" - urlò lei, come se avesse rivisto dopo anni un reduce di guerra - "che bello!!"


Si alzò in piedi di scatto, lasciando cadere il libro in terra e lo abbracciò al collo con tutta la forza che il suo corpicino esile poteva regalare, mentre lui la cingeva in vita, contando una ad una tutte le  costole che affioravano,
proccupantemente, dalla maglietta.
Appena lei allentò la morsa, i corpi si distanziarono di quel tanto che bastava affinchè i visi guadagnassero una posizione frontale.

I nasi, gli occhi e le bocche si avvicinarono pericolosamente.

A dividerli rimanevano, ora, solo i respiri.

 

 
 
 
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