Creato da fading_of_the_day il 17/11/2010

Fading of the day

....as night takes over

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« Midnight CinderellaWords Unspoken »

Inner Journey

Post n°15 pubblicato il 08 Febbraio 2011 da fading_of_the_day
 

 




Fuori dal cortiletto una coltre di umidità rendeva ancor più lugubre l'infrattato localetto di periferia.

Tra loro una quindicina di passi, non di più. Luca decise di farli con cautela, con i sonar ben all'erta. L'ordine destro-sinistro da scandire in rigorosa fila come su un ponte tibetano tra due precipizi. Prima che l'escurisone termica lo facesse riflettere per poco più di un secondo sull'opportunità di lanciarsi cuore in mano verso l'assisa sirena, allargò le spalle contratte, respirò ampio e sentì nel torace un lontano volo di gabbiani.

Fu una sorta di segnale.
Era il destino che lo voleva. Oppure il fato?

Destino/Fato. Fato. Destino. Poco importava.

Ormai il primo piede lo aveva posato già su quell'insicura e ciondolante trama di corda.
Ecco, a poco a poco, si stava muovendo, barcollando un passo dietro l'altro, destro-sinistro, sinistro-destro. La porta del localetto con la sua squallida insegna rossa in cima a mo' di club equivoco, si faceva sempre più piccola ed indistinguibile nella foschia.

Emma era lì, seduta su una vecchia sedia di legno con i braccioli, che ricordava molto quelle in uso dai professori delle superiori fino a qualche anno fa. Più che seduta sembrava abbandonata, mente e corpo all'apparentemente scomodo e datato sostegno a quattro gambe. Nella mano destra una birra con un sottile triangolo di limone per tre quarti imprigionato nel collo della bottiglia.

Emma non beveva: lasciava che la birra filtrasse attraverso il limone e se ne impregnasse dell'aroma. Differenza sottile quanto essenziale che la elevava a sublime cerimoniera delle nozze tra l'aspro ed il dolce.

Frattanto il ponte tibetano era quasi domato, mancavano pochi passi: due metri e mezzo, forse tre.

Al suo cauto approssimarsi, lei fu colta da un moto di compostezza: posò la birra per terra, acquisì una postura meno rilassata sulla seduta ed accavallò le gambe.

Nonostante fosse a più di metà dell'opera, Luca ancora non si sentiva del tutto sicuro su quel cazzo di ponticello di corda e camminava come se avesse un cartone di uova nelle scarpe.


-Tranquillo, ho detto che sono Cenerentola, non la strega cattiva....


Gli fece lei e, alzandosi in piedi con antica e dimenticata eleganza, spiegò le lunghe e sinuose gambe come le ali di un cigno.

A Luca quella mossa parve dilatare il tempo a dismisura.

Si fermò quasi in un gesto di riverenza e di colpo sentì il frangersi delle onde nelle orecchie.
Vedeva i suoi ultimi passi come al rallentatore, diviso intimamente tra il piacere di protrarre all'indefinito l'immagine di lei e l'insoddisfazione di non averla ancora raggiunta.


-No, il fatto è che dopo tanto tempo in piedi mi fanno male le gambe...


Di primo acchitto, non seppe offrire di meglio che una patetica ed adolescenziale scusa, rimediata al novantesimo nell'angolo destro più lontano del suo cervello. Era già tanto che l'incanto rivelato ai suoi occhi lo avesse lasciato desto e capace di intendere e volere.

Ma con l'esperienza di un capitano di lungo corso, si riprese subito, buttandola sul filosofico.


-Pensi sia stato il fato o il destino a farci incontrare?
-Io credo che cose poco probabili come questa non possano capitare per caso.


Questo fu, laconicamente, il succo dell'Emma-pensiero.


-Vorrei dirti tante cose ma......
-Non sai da dove iniziare giusto? Allora parto io. Sei più o meno come ti immaginavo.


La ragazza si mostrava intraprendente e questo solleticava il suo ego.


-Cosa intendi?
-Beh, quello che si scrive - e con questo intendo il modo, gli argomenti e la forma - rispecchiano il nostro carattere, dipingono la mente, l'anima ed anche il corpo, in un certo senso.


-Già, corpo, anima e mente

Pensò Luca.

Non aveva mai riflettuto abbastanza sulla vera essenza di quelle tre entità. Le aveva da sempre stipate in altrettanti cassettini della memoria considerandole comparti stagni indipendenti. Ora, quelle parole schiette come un rosso d'annata portavano un profumo nuovo alle sue narici.

Una fragranza corposa di qualcosa chiuso da tanto tempo, ma non irrimediabilmente perduto da puzzare di stantio.


 
 
 
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