Fading of the day

2

Eravamo uno di fronte all'altra. E non mi pareva vero.

Avevamo occupato uno dei pochi tavolini rustici di legno dell'Elephant House rimasti liberi all'ora di punta del primo mattino. Avevo deciso di darle appuntamento alla caffeteria che era stato teatro del primo sguardo che ci eravamo scambiati. Lei sorseggiava una tazza di te che sorreggeva con entrambe le mani, come un calice cerimoniale. Le dita sottili, arrossate dal freddo, che spuntavano dalle maniche del giaccone e cercavano conforto. La guardavo e credevo fosse un sogno.
Come avevo fatto a strappare l'invito?

Ogni tanto era comodo essere una celebrità: avevo chiesto al cameriere del locale di passarle, insieme all'ordinazione, anche un bigliettino. Avevo utilizzato tutte le mie armi da scrittore. D'altronde ero o non ero Jeremy Saint-Clair?

Due versi incisi per il suo cuore.

"Principe - sospirò lei - vorrei addormentarmi per sempre tra le sue braccia
Principessa - declinò lui - in quel caso abiterei i suoi sogni per l'eternità"

I suoi occhi già incrociavano i miei. Le era bastato poco per capire chi fosse il mittente.
Mi sorrise e fu il principio di tutto.

-Signor Saint-Clair? Lei è Jeremy Saint-Clair?

Un ragazzino di circa tredici anni si era avvicinato timido al nostro tavolo cingendo con entrambe le mani sul petto una copia di "Ushuaia".

-Si sono io, dimmi...
Sapevo cosa stava per chiedermi ma non volevo rubargli la gioia del momento.

-Sarebbe così gentile da autografarmi il suo libro?
Presi la penna che mi aveva porto.
-Come ti chiami giovanotto?
-Marc, signore
-Tieni Marc...
-Signor Saint-Clair, volevo dirle... il suo libro è davvero magnifico. Quando uscirà il prossimo?
-Presto, molto presto, stai tranquillo...

Almeno questo era ciò che speravo, dato che nell'ultima settimana avevo prodotto poco e niente. E la colpa era tutta di quella biondina che mi sedeva esattamente di fronte, compiaciuta per la compagnia del "grande Jeremy Saint-Clair, l'autore canadese che al debutto aveva sbancato Europa e Nordamerica con il best-seller "Ushuaia"". E che ora sembrava vivere uno stallo critico.

Avrei dovuto inviare via mail a Mr.Stanford ben due capitoli del nuovo romanzo già da tre giorni, ma avevo vissuto la classica "crisi da pagina bianca". Mr.Stanford, con elvetico zelo, non avendo ricevuto nulla, aveva immediatamente iniziato a tempestarmi di telefonate, prima apostrofandomi come "Monsieur Saint-Clair" (pur essendo canadese, gli avevo fatto presente che ero anglofono a tutti gli effetti), per poi passare ad un meno formale "Jeremy-che-cazzo-stai-facendo-muovi- il-culo!".

Io avevo nicchiato, aggrappandomi a motivazioni vaghe e poco convincenti. Lui mi aveva fatto presente, a più livelli, che avevo un contratto da rispettare, che la fine di novembre era vicina, e che lui doveva avviare la "complessa macchina commerciale". Io lo ascoltavo senza che il mio cervello riucisse a filtrare buona parte delle cose che il suo vocione da baritono emetteva. Perchè pensavo a lei. Ce l'avevo in mente fin dal primo giorno che ci eravamo incontrati. Capelli biondi, occhi nocciola, pelle delicata. Elisa era il suo nome. Ed era una delle ragazze più belle che avessi mai visto.

-Insomma cosa si prova ad essere una celebrità?

La sua voce cinguettò appena al di sopra del bordo della tazza. Gli occhi vispi mi lanciarono uno sguardo di ammirata seduzione.

Elisa aveva poco meno di vent'anni.
Io quasi il doppio.

Ci conoscevamo da pochi giorni.
Ed io l'amavo alla follia.