Fading of the day

17

Ero rimasto in piedi per tutto il tempo di quel triste racconto. Incredulo, ero appoggiato allo stipite della porta del salone, con la tazza in mano ed il capo reclinato come i cani che cercano di capire cosa stia dicendo loro il padrone. Faticavo a credere a tutto quello che avevo sentito. Pensavo che certe cose si leggessero solo sui giornali, che fossero soltanto argomento di discussione dei talk show o che avessero spazio in certi film impegnati. Invece era tutto vero. Potevo toccare quell'esperienza con mano, sentirla sulla mia pelle. Ed era una sensazione che non andava via e che più si provava a far scivolare, più graffiava. Era una storia assurda, piena di egoismo e sofferenza ingiustificata, fatta di silenzi, spalle voltate, sorrisi repressi.

Rimanemmo in silenzio qualche minuto, forse perchè l'assenza delle parole era l'unica eloquenza che potesse descrivere certi stati d'animo. Mi vennero in mente le parole di Tom, che, mai come in quella circostanza, mi apparvero attuali. C'era un motivo dietro l'estrema riservatezza di Elisa riguardo alla propria vita privata. Rappresentava la sola maniera di sublimare il proprio dolore, di renderlo reale per poterlo affrontare. Sembrava un paradosso, ma, in realtà, viverlo egoisticamente era l'unico modo che aveva per andare avanti.

-Elisa perchè non me ne hai mai parlato?
-E a cosa sarebbe servito?

Lanciò quelle parole come una frustata nel vuoto, guardandomi con gli occhi umidi che tremavano.

-Purtroppo non potrò darti indietro gli anni che non hai mai avuto, ma stare insieme vuol dire anche condividere queste cose

Elisa riabbassò il capo e una lacrima le cadde su una gamba.

Posai la tazza e mi avviciani a lei. Le presi il viso tra le mani. Vedevo gli occhi di una bambina a cui era stata rubata l'infanzia, che era stata violata nei terreni più lontani dalla superficie. Di colpo sparì l'Elisa deliziosa ventenne che faceva girare gli uomini per strada, l'Elisa che aveva baciato l'adolescenza a labbra dischiuse. Era d'un tratto svanita l'Elisa dalla pancia scoperta, il piercing e la pelle che profumava d'estate. Il battito dei suoi tacchi ed il fruscio della sua gonna corta erano, ora, solo un eco lontano che spariva dietro l'ultima carrozza del metrò. Adesso Elisa aveva otto anni e uno sconfinato bisogno di essere amata.

-Ora capirai il perchè di molti miei atteggiamenti, la gelosia verso persone che neanche conosco. Come l'altra volta per la tua segretaria, Denise...

Lasciai che proseguisse il suo sfogo.

-Non ho davvero nessuno. Mio padre non so chi sia, mia madre mi rifiuta. Al di là di qualche amico tu sei la mia famiglia.

Sentii il petto stringersi in una gabbia d'acciaio.

La guardai e mi resi conto della fatica che Elisa aveva fatto durante la sua vita. La fatica di tenersi per sè il bruciore delle ginocchia sbucciate, la fatica di non poter raccontare a nessuno la paura del buio, la fatica di uno zaino pesante tutto sulle sue spalle. Per tutta la sua giovinezza si era trascinata dietro un blocco di cemento, che faceva attrito sui suoi sogni e li polverizzava. Elisa aveva vissuto il periodo più bello della sua vita senza poter sognare. E l'assenza di sogni era il peggior delitto che una ragazza potesse mai subire.

Si, c'era stata la nonna che non le aveva mai fatto mancare nulla. Ma la nonna non era la mamma. Se esistevano le mamme, un motivo c'era.

-Eli, io farò di tutto per colmare i vuoti che hai dentro. Non riuscirò a farlo con tutti, ma quelli più profondi proverò a riempirli

Ci fu silenzio per alcuni minuti nei quali non dissi nulla.
Poi lei mi abbracciò forte, sussurrandomi all'orecchio quel "grazie" che non aveva mai saputo dire a sua madre.