Creato da fading_of_the_day il 17/11/2010

Fading of the day

....as night takes over

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Post n°96 pubblicato il 03 Marzo 2014 da fading_of_the_day
 

Il cielo era bianco, di un bianco che livellava tutto e faceva sembrare gli uomini davvero uguali l'un con l'altro. In qualche spicchio si intravvedeva una scia d'azzurro, come un condannato che prova a mettere la testa fuori dalle sbarre. Dava più un senso di prigionia che di speranza. Come se non bastasse, era una di quelle mattinate nebbiose, con le guglie ed i tetti aguzzi della città vecchia che si arrampicavano come artigli di drago su una parete rocciosa a picco sul mare. Sullo sfondo, una foschia stratificata, che rendeva ancor più malinconico il ricordo del cielo screziato mattutino, ancora sporco di quel rossore che la notte sembrava aver dimenticato di portare via con sé.

Nonostante l'euforia estiva del festival di Edimburgo si fosse ormai esaurita da tempo, in strada si avvertivano ancora gli echi di una certa elettricità: all'operosità tipica anglosassone si univa una spensieratezza che avrei definito quasi "ispanica". "Sarà un segno dei tempi" pensai. E mi vennero in mente tutte quelle menate relative alla globalizzazione, ai social, alle versioni 2.0 di noi stessi, tutte quelle farneticazioni che solitamente si potevano ascoltare con noia nei rotocalchi di approfondimento dei telegiornali. Scrollai con dissenso dalla mente quei passaggi banali e proseguii il mio percorso.

Si respirava un'aria "positiva" e non ero immune agli stimoli che si spandevano tra quelle viuzze frizzanti, strette e trafficate di gente a piedi, di autoctoni seriosi e turisti spaesati con i consueti zaini e cartine. Era il mood ideale di cui avevo bisogno per centrare il mio obiettivo: terminare il libro che entro Natale avrei dovuto spedire in pacco celere al mio editore per la pubblicazione. In realtà, il mio mentore con aria da rapace aveva intenzione di averlo tra le mani con largo anticipo rispetto alle festività. Aveva azzardato, durante l'ultima conversazione telefonica, ad un vago "fine novembre". Il suo scopo era aver tempo sufficiente per cavalcare l'onda consumistica dicembrina e mettere in moto l'odiosa macchina del marketing editoriale che avrebbe incrementato copiosamente gli zeri nel suo conto in banca.

Ad esser sincero negli ultimi sei mesi non avevo di che lamentarmi: ero partito dall'assolata indolenza della Catalunya, per poi dirigermi verso la sofisticatezza retrò della Costa Azzurra e concludere veleggiando verso la nebbiosa intimità scozzese. Il tutto a costo zero, ospitato in quelle che il mio editore -  il vulcanico Mr. Stanford - amava definire come le sue "capitalizzazioni immobiliari". Con fare paterno ogni volta mi diceva "coraggio figliolo, è tutto gratis per te, per il mio scrittore prediletto". Avevo sempre nutrito qualche perplessità riguardo a quei continui cambi di domicilio, non ero sicuro totalmente che sotto non ci fosse alcun artificio fiscale. Insomma: perchè mi faceva trascorrere "vacanze perpetue" totalmente spesate? Mi rassicurava dicendo che cambiare, di tanto in tanto, "faceva bene alla mia ispirazione". Vedere gente nuova, respirare aria diversa, assaporare cucina lacale sempre nuova era una manna per le "celluline grigie".

In realtà entrambi sapevamo che la verità era un'altra: il mio ultimo libro era stato una vera e propria "gallina dalle uova d'oro" per Mr. Stanford, il quale mi aveva posizionato in pianta stabile nel gotha dei suoi delfini. Ormai ero diventato una punta di diamante della casa editrice con tutti gli oneri ed onori che il successo incorporava in sè. Conferenze stampa, tour promozionali, interviste televisive, autografi ai lettori. Anche il nuovo libro procedeva insolitamente spedito, oltre le più rosee aspettative. Ormai mi mancava davvero poco ed avrei avuto in mano qualcosa di davvero incredibile.

Quello che non avrei potuto prevedere era che, proprio a partire da quella mattina, la mia vita sarebbe cambiata.

 
 
 
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