Creato da fading_of_the_day il 17/11/2010

Fading of the day

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Night Train

Post n°50 pubblicato il 08 Giugno 2011 da fading_of_the_day
 


Madame
Neuer (anche se sarebbe opportuno anteporre un più spigoloso Frau) aveva dovuto fare i conti con il suo carattere forte e volitivo tante di quelle volte che ormai aveva perso il conto. Era difficile arginarlo, contenere i suoi impeti: in lui si era conformato un naturale istinto al dominio. Aveva mostrato una certa attitudine alla supremazia sin dai primi anni della ragione, innaffiando la smania della propria affermazione con il più noto degli aforismi machiavelliani.

Il fine giustifica i mezzi.
Amava recitare con malcelata punta di orgoglio.

Quindi, che si trattasse di una macchinina telecomandata, di una bicicletta o dello stereo nuovo poco importava. Lui puntava la preda e a lei non restava che congiungere le mani ed implorare una intermediazione divina. Il problema era che quella abitudine, lui, credeva di poterla applicare ad ogni cosa desiderasse.
Ragazze incluse.

E così ecco che, ad un certo punto, la disperata Frau Neuer, si era trasformata nella dolce Miss Emma. Solo che, per quanto dolce fosse, di mamma che sopporta le bizze conquistatrici del figlio ce n'è una sola e tutte le altre sono disposte a sobbarcarsi solo metà del peso della croce. O anche meno.

Nei pochi mesi di relazione effettiva, Emma aveva imparato a convivere con gli atteggiamenti di Markus, non arrivando mai a giustificarli totalmente. Era una pratica con la quale, in realtà, si era dovuta scontrare, poco a poco, nel corso degli ultimi cinque anni, quando, da manager ambizioso qual'era, Markus faceva il bello e cattivo tempo dei suoi assistiti.

E così, quando lei era andata da lui per dirgli che tra loro era finita, che amava un altro, lui si era esibito in tutto il suo campionario da tiranno. Aveva popolato la fronte da un fitto pettine di rughe, aveva indurito la mascella da rettile inspessendo la cute e, infine, aveva tirato fuori i rossi occhi dalle orbite, come un insetto che fissa inespressivamente il motivo delle sue molestie.


-Stai scherzando immagino..... Non puoi cambiare idea così repentinamente....
-Markus, non posso coprire un errore con un altro errore.
-A due mesi dal matrimonio vuoi mollarmi così?
-Io credo che sia stato meglio accorgercene prima, no?
-Accorgertene. Parla al singolare.
-Markus, io sono convinta che tu, in fondo in fondo, non mi ami veramente. Sono solo la tua ennesima preda. Il tuo ultimo giocattolino. Tu non ami nessun'altro all'infuori di te stesso. Mi spiace solo averlo capito troppo tardi.



Emma abbassò la testa. Era rossa in volto. Prese a girare vorticosamente la cannuccià nel bicchiere.
Le bollicine erano i tanti, piccoli fantasmi che le pungevano la lingua.
Le bollicine erano i minuscoli demoni che le saltellavano nelle orecchie e la terrorizzavano con i loro rantoli infernali.

Trascorse un minuto scarso di tensione mista ad imbarazzo. Aver vuotato il sacco le faceva girare la testa, le dava una sensazione di ebbrezza simile ad una sbornia brevissima.
Brevissima perchè rotta dal suo telefono che vibrava.


Tutto a posto?


Era un messaggio.


-E' lui, vero?


Sibilò Markus tra i denti, mentre si accendeva una sigaretta e scrutava un punto indistinto del suo bicchiere. Emma non rispose, ma la sua smorfia sfuggente e le labbra ritratte e colpevolmente incerte
valevano come il più rotondo dei si.

Markus tirò un'ampio respiro e sputò il fumo da una parte della bocca.
E con esso spazzò senza indugio anche i cani morti dalla strada.


-Io non so cosa dirti. Insomma, non si tratta solo della nostra relazione, ma anche del lavoro.
Ti dico che se ci lasciamo dovrai dire addio anche al Markus manager e trovarti qualcun altro. Non ce la farei.


Emma lo fissò vibrando impercettibilmente le pupille nel tentativo di mettere a fuoco quel dettaglio finora trascurato, mentre una fontana di spine si riversava sulla sua schiena. Chissà perchè non aveva ancora pensato a quella faccia della medaglia. Non si era ancora posta il problema di come riorganizzare la propria vita lavorativa. Nei brevi attimi in cui lo osservò senza fare un fiato, si sforzò di riflettere velocemente sulle conseguenze professionali di quella decisione, non trovando, tuttavia, nessun appiglio, nessun indizio che le facesse spuntare un mezzo sorriso di conforto.

Una bollicina che saliva in superficie la risucchiò dalla cantina dei pensieri.

Di colpo staccò gli occhi da lui. Non doveva farsi fregare: lui voleva ipnotizzarla come un serpente a sonagli. Quel "non ce la farei" era un'esca, era la mezza foca morta gettata nell'oceano per attirare gli squali. Quel "non ce la farei" non voleva allungare le distanze, ma, al contrario, accorciarle. "Non ce la farei" voleva dire "piccola, se mi molli le tue tasche saranno un po' più vuote". Suonava come un monito, quasi una minaccia. Emma non doveva farsi abbindolare nè dagli occhi di cerbiatto, nè da quelli da alligatore: doveva rimanere ferma ed asettica, inemozionale come un cubo di cemento.

Così, si calò l'elmo da vichingo e ripartì al contrattacco.


-Markus, per me l'amore ha un peso. E quello che sento per te,  in questo momento, è poco più che una piuma.



Lo guardò vitrea con le labbra serrate. Totalmente immobile, come per aggravare l'enfasi di quella metafora. Come per scavare ancor più a fondo il peso di quella lapide, su cui stava già incidendo l'epitaffio.


Scrivo metafore per non morire nel presente.
Diceva qualcuno.


Le metafore sono serve ingannatrici che aiutano a sfuggire dall'ansia del momento, che aggirano la gravità di un peso e se ne prendono gioco. Almeno per un po'. Almeno finchè il loro vapore si è disperso e non è rimasto altro che la terra molle e fetida.

Markus da ex-musicista conosceva bene il potere delle metafore.
E conosceva anche bene il dolore di un abbandono.

L'abbandono è come il treno della notte che ti fionda a tutta velocità nelle tenebre, così scure che il cielo ed il mare, se li vedi in lontananza, sono la stessa cosa. Neri e stretti. Come vuoto sospeso nel vuoto. Come nulla aggiunto al nulla.

E poi, non ha fermate, il treno della notte.

Perchè da certi shock non ci si riprende mai totalmente. Sono cadaveri che ti porti dietro e che provi a nascondere goffamente sotto il letto quando vengono gli ospiti a trovarti. Per non fare brutta figura, per tirarti un po' su e provare ad illuminarti la pancia con il sole che riverbera sul foglio bianco della nuova vita.

Ma la verità è che da quel treno non scendi mai. Neanche se ti lanci fuori prima di un tunnel.
Da quel treno non scendi mai, perchè una parte di te occuperà sempre uno di quei maleodoranti ed asfittici scompartimenti.

 
 
 
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