Fading of the day

23.

Mi lasciai cadere sul divano, che accolse con uno scricchiolio metallico il mio peso. Che dire: eravamo punto e daccapo con i problemi. Nel frattempo, Sinead era in cucina e parlava fitto fitto con la madre a telefono, con quell'accento marcato che rendeva per me incomprensibili alcune parole.

Sinead che aveva le visioni era una novità di cui non sentivo assolutamente il bisogno. Proprio ora che avevo riconquistato parte della tranquillità perduta, proprio ora che avevo elaborato totalmente la perdita di Elisa, proprio ora che stavo dedicandomi ad una nuova relazione... proprio ora non ci voleva un altro grattacapo. Alzai lo sguardo verso le pareti della sala da pranzo come se volessi trovare delle risposte a quanto aveva visto. Scrutai, accigliato, di nuovo i quattro spuntoni di legno, che uscivano dal centro di ciascuna parete e immaginai un gioco di corde che si intrecciavano da lato a lato: forse erano serviti per montare le impalcature durante la costruzione dell'edificio?

Ad un tratto, non udii più la voce di Sinead provenire dalla cucina e per un istante mi spaventai. Poi sentii i suoi passi lenti, che divenivano sempre più nitidi nel silenzio della notte, come l'effetto doppler generato da un'ambulanza che si avvicinava. Varcò la soglia del salone con il viso stravolto, sfatto, di una stanchezza non fisica, ma mentale.

-Mia madre dice che il mese scorso ha avuto una visione simile
-E questo ci dovrebbe confortare?
-E' una bella domanda: lei sostiene che non è detto che si tratti necessariamente di premonizioni. In base alla sua esperienza, le visioni possono riferirsi anche ad eventi passati

Vagai con lo sguardo lungo la stanza e pensai che in cinquecento anni quella casa doveva averne viste di belle.

-Beh, se così fosse io non mi preoccuperei. Chissà quante ne sono successe qui dentro...

Sinead mi accompagnò con lo sguardo lungo quelle pareti annuendo. Poi si avvicinò ancor di più a me. La tensione mi aveva fatto dimenticare quanto era bella quella sera. Indossava un vestito corto, bianco, estivo nella fattura, nonostante fossimo in pieno inverno. Pensai che la tempra irlandese doveva essere notevole se non sentiva freddo così, visto che fuori c'erano meno di dieci gradi. Sinead si voltò verso la finestra e la luna le rischiarò il viso. La vidi socchiudere gli occhi e sorridere come una bambina irradiata dal sole caldo d'estate.

Poi si voltò verso di me, appoggiando i palmi sul davanzale. Con un gesto rapido vi si mise a sedere, mostrando la grazia di una ginnasta olimpica. Accavallò una gamba sull'altra, abbandonando il busto all'ampia vetrata e lasciando ciondolare, ozioso, il piede. Si morse il labbro inferiore e le sue guance disegnarono un sorriso pieno, voluttuoso, accompagnato da un respiro profondo, come il sibilo di un animale dormiente. Ancora alcuni secondi e scese dal suo trono di marmo, raggiungendomi, un passo dopo l'altro e senza produrre alcun rumore.

Si sedette a cavalcioni sulle mie gambe e tirò giù prima una bretellina, poi l'altra, scoprendo i seni. Dopichè alzò il vestito di quel tanto che bastava per non darle impiccio, lasciandomi intravvedere che non portava biancheria intima. Mi piantò gli occhi addosso con una forza quasi gravitazionale nell'immobilità che mi trasmetteva. Con il capo inclinato sorrise lasciva all'idea del piacere che di lì a poco l'avrebbe invasa. Arcuò il busto, incrociando i polsi dietro la mia testa e, in quel preciso istante, percepii un mugolio salirle dal ventre fin nella gola. Fu un suono vagamente animalesco, felino nella tonalità più abissale. Si avvicinò con la bocca al mio collo ed iniziò a baciarmi. Avvertii il calore del suo respiro e l'umido delle sue labbra che lasciavano segni sulla mia pelle.

Poi, di nuovo quel mugolio, lento ed ovattatato come qualcosa che smuoveva il fondale del mare.