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Messaggi di Giugno 2013

…There’s A Meaning For All That Fades

Post n°91 pubblicato il 07 Giugno 2013 da fading_of_the_day
 

 


“Eppur l’amavo”

(L’imperfetto è il più crudele dei tempi verbali, perché ci dice che tutto è finito.)

Teneva un foglietto spiegazzato tra le dita, tra indice e medio, come se fosse un bancomat. E quello che c’era scritto sopra era la carta di credito della sua vita. Sopra impresse tre semplici parole: “Eppur l’amavo”. Semplice e inappellabile come una rivelazione galileiana. Un’affermazione tanto imbarazzante nella sua veridicità, quanto crudele nell’impossibilità di essere dimostrata di nuovo dinnanzi ad un pulpito di carnevaleschi censori. Un “Eppur si muove” in ritardo di quattro secoli, dove la Terra era il suo cuore e il sole era il suo stomaco. Vuoto e solitario. 

Sgranò gli occhi per uscire da quel cunicolo angusto, ma ciò che percepì fu solo il vento e l’aria secca della costa lontana. Sulle labbra un sapore indefinito, sospeso tra miele e sale. E nella testa, nella testa, una vertigine, una palla d’ovatta, il senso di svagatezza che si porta dietro il non sapere dove si sta andando.

“Sempre dritto, poi la prima a destra”

Sarebbe stato facile. No?

Un’indicazione tanto immediata, lontana dai bit e dallo stridio della voce metallica di un navigatore, un aggeggio infernale e senza cuore  che ti portava-sempre-dove volevi-nel-tempo-che-volevi-alla velocità-che-volevi. Affidarsi a sé stessi valeva ancora? Forse si, perché di voglia di stare a sentire un’altra voce, qualcun altro che le desse indicazioni, che le dicesse cosa fare e cosa non fare, ne aveva poca. Tendente allo zero. Forse al meno uno.

Il foglietto era piegato con linee geometriche precise, rimaste tali nonostante l’età anagrafica di quel brandello di cellulosa compressa. Solchi che lo rendevano un quadrato, poi un rettangolo e poi un quadrato nuovamente di mezzo centimetro di lato o poco più. Incurante della meticolosità con cui era stato tenuto tutto quel tempo, lo appallottolò sacrilega come si farebbe con la proletaria carta unticcia di un hamburger da fast-food e lo parabolò con precisione cestistica nel cassonetto a pochi metri da lei.

Quel gesto fu come una rivelazione: si rese conto che in una frazione di secondo era possibile far sparire il passato. Quella fastidiosa sopravvivenza mnemonica sarebbe diventata ben presto qualcosa di vago, sommariamente riconducibile ad uno sport marginale ed impraticabile, di cui si ricordano a malapena le regole, come il decathlon o il pattinaggio a rotelle. E così, se nel corso dei mesi a venire qualcuno l’avesse messa alle strette su quella storia, incalzandola con mille domande, lei avrebbe risposto alla stregua di chi si sente chiedere se è scomodo abitare in un palazzo senza ascensore: no no, si tira avanti benissimo…. dopo un po’ non ci si fa più l’abitudine…. anzi, dicono che un po’ di esercizio faccia bene alla salute.

Tirare una bella linea. Ora per Emma sarebbe filato tutto liscio.
Avrebbe riconquistato il suo karma zen e ritarato i suoi cicli circadiani. 

Ma se l’imperfetto era il più crudele dei tempi, il condizionale era il più fraudolento, perché descriveva un’eventualità che forse non si sarebbe mai verificata. Il dubbio ed il tormento. L’incertezza ed il suo inganno.

Emma avrebbe finalmente risistemato le tessere del suo personale mosaico se non l’avesse disturbata il pensiero che anche lui avrebbe continuato a tirare avanti e, chissà, forse qualcun’altra si sarebbe interessata a lui. Magari lo avrebbe baciato per la prima volta, ci avrebbe passato una notte d’amore, poi un’altra ed un’altra ancora… Forse avrebbero progettato un futuro insieme e chissà cos’altro. 

(La gelosia è uno smodato sentimento di proprietà.)

Questa incertezza le si affacciò alla mente ricca di implicazioni da gestire, come una cartellina di pelle ripiena di vecchi ritagli di giornale conservati per tanto tempo. Dopodiché le venne consequenziale rimestare l’acqua torbida dalla stiva dell’immensa nave. I piedi e le caviglie impantanate nel giochino autolesionista del “cosa sarebbe successo se…”. Cosa sarebbe successo se avessi dato retta alle sue mail, se lo avessi seguito nel belpaese, se non mi fossi fatta incastrare da quell’altro, pazzoide e maniaco. Vecchi ceppi di legno che tornavano a galla. Aggrapparsi o lasciare che la corrente li portasse via?

Optò per la seconda,  sentendo vivo come una spina il bisogno di coccolarsi, di cingersi i fianchi con le braccia.
“E che diamine, dopo quello che ho passato” – si disse con una certa convinzione. 

In quell’esercizio le sfuggì il piccolo particolare che in quel modo passava dalla proverbiale padella all’altrettanto proverbiale  brace. Quella fulminea voglia di calore domestico, del maglione largo e peloso e della copertina di lana sulle gambe riattivò un altro complesso meccanismo - non troppo arrugginito a dir la verità - fatto di ruote dentate, assi metallici, viti e bulloni. Si rimetteva in moto la nuvola più grigia dei suoi ricordi.

Briciole, bottoni, scarafaggi, chicchi di caffè. 


Banalità immediate: ecco cosa associava ai giorni degli interrogatori, dei processi sommari, delle accuse. Perché quelli erano gli unici pensieri a cui ci poteva arpionare nei corridoi di una stazione di polizia, quando il solo orizzonte, l’orizzonte della questura, l’orizzonte di quel mondo, sembrava sterminato, feroce, con tempeste che incombevano da ogni parte.

In quei giorni di inferno, aveva fatto capolino anche qualcos’altro che durante la propria vita aveva sempre sospinto nella parte più buia e polverosa della soffitta. Dio e la fede.

Come molte persone non credenti, aveva sempre immaginato Dio con la barba bianca ed il dito alzato, sospeso su una nuvoletta e contornato da angeli asessuati. E i credenti erano tutti uguali. Come i cinesi.

La conclusione di quei pensieri era sempre la stessa: “Signore, non son degna”.
D’altro canto la questione non le interessava da diversi lustri.

Forse Dio era sopravvissuto a quell’indolenza, ma lei si consolava pensando che molti altri, alla stessa stregua, lo consideravano nulla più che un effetto collaterale della convivenza civile, un banalità marginale da opuscolo di chiesa.

Quella volta, come tante altre, ricacciò l’ingombrante baule nell’angoletto in fondo della mansarda.

“Eppur l’amavo” si disse.

Eppur si muove.

 

 
 
 

LOVING ELISA BROWN 2/2

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